31 maggio 2007

la sinistra che parla alla gente

"Penso che processi politici per la sinistra di alternativa e la sinistra radicale siano all'ordine del giorno, per raggiungere l'efficacia dell'azione politica di riforma, di cambiamento, di trasformazione, dovendo porsi l'obiettivo di raggiungere la massa critica, senza la quale questa efficacia dell'azione non si determina quand'anche, com'è stato fatto per lunghi anni, si è costruito un rapporto di grande interesse con i movimenti, si è operata una ricostruzione, una rifondazione di cultura politica anche con grandi strappi, si sono prodotti cioè gli elementi che tuttavia richiedono oggi un salto di qualità. Le elezioni in Francia sono da questo punto di vista indicative, di una condizione in cui «hic rhodus hic salta»".
Fausto Bertinotti, Presidente della Camera

Da leggersi tutta di un fiato. Come i foglietti illustrativi nelle scatole dei medicinali: dosaggio e controindicazioni. Quando la sinistra parla alla gente forse si capisce dove abita la cosidetta "crisi della politica"...

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25 maggio 2007

quei recordman della sinistra

Un'attenta analisi sociologica, antropologica, archeologica, paleontologica, biostratigrafica, fatta con il Carbonio-14 (metodo che, si sa, lascia molti dubbi di efficacia ma è ecologico) e con gli isotopi radioattivi, ci consente di concludere che con il passare delle ere la sinistra italiana ha subìto una feconda evoluzione. Non frutto di un Disegno intelligente (almeno a basarsi sulla fisiognomica di Fassino) ma di una selezione naturale della sua classe dirigente, che in realtà è sempre la stessa da 30 anni ma siccome ha cambiato sei volte nome (Pci, Pds, Ds, Ulivo, Unione, e ora Pd), sembra sempre diversa.
Ma a dare a Cesare quel che è di Cesare e a Occhetto quello che è di Occhetto, bisogna riconoscere che trattasi in realtà non di evoluzione casuale ma di allenamento alla corsa, di miglioramento dei record alla distanza: in poche parole si sta sensibilmente riducendo il tempo che separa le cazzate che la sinistra dice e fa, e la presa di consapevolezza delle cazzate medesime. Un record dietro l'altro che ci fa ben sperare nel fatto che forse, tra 1500 anni, i sauri progressisti non saranno estinti ma trasformati in splendidi unicorni bianchi. Perchè i risultati ci sono ed evidenti. Frutto di un costante allenamento, di una dieta calibrata e di molta faccia da culo.
Aspettando tempi migliori per la sinistra italiana, ci limitiamo a registrare i suoi migliori tempi in questa corsa ad ostacoli che si chiama: capacità di analisi politica. Di seguito riportiamo tutti i principali record:
70 anni per capire che i Gulag non erano colonie estive per i figli degli operai sovietici.
60 anni per ammettere che migliaia di italiani nelle foibe non ci sono caduti inciampando durante una scampagnata.
50 anni per scoprire che i carri armati russi a S. Venceslao non ci sono finiti perchè un cazzo di vigile sulla Piazza Rossa aveva detto di girare a sinistra e invece loro sono andati a destra.
30 anni per riconoscere che tutti quei teschi raccolti da Pol Pot non servivano per le repliche dell'Amleto.
15 anni per notare (en passant) che Bettino Craxi non era il vice di Al Capone con delega al bilancio in nero, ma il padre del riformismo italiano.
13 anni per capire che quando Fini a Roma aveva proposto di spostare i campi nomadi fuori dal Grande Raccordo Anulare non lo aveva fatto perché era parente di Himmler ma per motivi di sicurezza e di legalità.
5 anni per soprendersi che quelli che tagliano le teste ai civili inermi e mettono le bombe nei mercati di Baghdad e di Kabul sono terroristi e tagliagole e non nuovi resistenti.
1 anno per appurare che l'idea di togliere l'Ici sulla prima casa non è "un delirio che andrebbe curato " (Oliviero Diliberto, Aprile 2006) ma "una proposta riformista che estende il diritto alla casa " (sempre Oliviero Diliberto, Aprile 2007).
Solo 6 mesi per rendersi conto che Ségolène Royal non è una "grande novità politica e culturale " (Walter Veltroni, Novembre 2006), ma una che è meglio per tutti che è tornata a fare shopping, sopratutto per Veltroni che ora può dire di essere il "Sarko de noantri" e non il "Sego' de Trastevere".
Ora a questa sinistra l'attende il record più difficile, perché la distanza è indefinita e la pista scivolosa. Sta provando con tutte le sue forze a infilarsi dentro un'altra allucinazione: quella della crisi della politica. Lo ha detto D'Alema che è come nel '92. Lo ha ribadito Prodi. Montezemolo lo ha urlato con eleganza come se lui con questa politica non c'entrasse nulla. Ezio Mauro ci ha rassicurati che "la sinistra tuttavia ha una carta che è il Partito Democratico" e che "può diventare il primo soggetto diverso del nuovo secolo"... azzo! In questa nuova gara contro il tempo i recordman della sinistra avranno il solito aiutino. Come Dorando Petri. Li soccorreranno intellettuali, oligarchi, poeti; melodie d'amore e di lotta saranno cantate e salotti accoglienti saranno aperti. Ma i due milioni di italiani in piazza a Dicembre e il milione e mezzo del Family Day, raccontano un altro paese; un paese che partecipa, che si entusiasma, che c'è nelle cose che contano. Un paese spontaneo... e incazzato. La crisi della politica è solamente la crisi di questa oligarchia catto-comunista, assetata di potere, incredibilmente arrogante e incapace di capire l'Italia che va avanti, nonostante loro. Quanto ci metteranno stavolta a rendersene conto? Si accettano scommesse...

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11 maggio 2007

se Sofri ci regalasse un po' di silenzio...

Salvador Dalì, Persistenza della memoria, 1931Del caso Calabresi abbiamo già parlato in questo post oltre un anno fa. Sottovoce, per non disturbare le parole più rumorose di quelli che pensano, riflettono, mettono in discussione sempre tutto, non per una reale spirito critico, ma perché a volte, quando si chiede instancabilmente di capire, si cerca solo di imbrogliare la verità.
Noi, che non abbiamo l'intelligenza per capire, né quella sofisticata raffinatezza di chi vive di dibattiti sui giornali, ci adagiamo sul facile concetto che negli anni di piombo ci furono vittime e ci furono carnefici. Una semplificazione che in un'epoca contorta che trasforma la storia da maestra a giustificatrice, forse non aiuta a scrutare i profondi recessi di un periodo che possiamo rivivere solo a frammenti, ma almeno serve a rendere un po' di giustizia. E questa semplificazione che offende l'intelligenza degli uomini colti, aggiunge un giudizio netto sul ruolo degli intellettuali e della loro vanità: perché siamo anche convinti che in quell'Italia piena di tensioni sociali, dinamiche perverse, giochi di potere, in quel paese gettato verso una modernizzazione complessa, ci fu una parte della classe intellettuale indecente e vile che decise di stare dalla parte dei carnefici.
Qualche giorno fa, Vittorio Sgarbi, assessore alla cultura del Comune di Milano
, in un articolo su Il Giornale, ha spiegato le ragioni per cui si è opposto all'intitolazione di una via a Camilla Cederna, intellettuale che fu in prima fila in quella campagna infame contro Luigi Calabresi che portò poi al suo assassinio. Fu lei, dalle colonne dell'Espresso, a guidare "orgogliosamente la campagna di discredito nei confronti di Calabresi" e a firmare "la lettera nella quale il commissario era definito responsabile della morte di Pinelli". Fu lei a promuovere l'appello degli "uomini di cultura" che sempre dall'Espresso lanciarono la fatwa contro un uomo innnocente e un servitore dello Stato. Sgarbi elenca anche i nomi di questi uomini di cultura al servizio della stupidità: Norberto Bobbio, Federico Fellini, Bernardo Bertolucci, Liliana Cavani, Furio Colombo, Umberto Eco, Eugenio Scalfari, Giorgio Bocca e molti altri. Storia risaputa ma che ogni tanto conviene ricordare perché il tempo non sciolga la memoria come gli orologi di Dalì. Alcuni di loro hanno chiesto scusa ritrovando così dignità ed onore. Altri no e spesso sono quelli che ancora oggi continuano a sottoscrivere appelli per stabilire patenti di legittimità democratica e civile agli altri.
E siccome il pudore è merce rara nella nostra Italia, il giorno dopo è proprio Adriano Sofri a rispondere a Sgarbi, su Il Foglio. La risposta di Sofri sorprende perché a volte il silenzio è un dovere morale. E invece no. Adriano Sofri parla di "severità contro Camilla Cederna" per il solo fatto che non le sarà dedicata una via a Milano. Nulla rispetto alla severità crudele e ingiusta che Camilla Cederna scatenò su Calabresi. Adriano Sofri ci ammonisce sulla "combinazione tra tracotanza del giudizio sugli altri e indulgenza verso se stessi", dimenticando che furono proprio quegli intellettuali ad essere tracotanti verso un uomo innocente nello stesso identico modo in cui sono stati poi indulgenti verso se stessi negli anni a seguire. Sofri invita Sgarbi (e in fondo noi che la pensiamo come lui) a chiedersi lealmente "se non avresti anche tu potuto aggiungere la tua firma a tutte quelle" non per giustificare ma per desiderare di capire. Domanda stupida perché la storia non parte dalle ipotesi ma dai dati di fatto. E la realtà è che quegli intellettuali, uomini e donne illustri, firmarono quell'appello. Non altri, ma loro nella piena consapevolezza del ruolo culturale e sociale che ognuno aveva e che quell'appello collettivo avrebbe amplificato. Nella certezza del male che quel gesto avrebbe prodotto.
Qualche anno dopo Camilla Cederna all'indomani dell'arresto di Enzo Tortora (che di Calabresi era amico) scrisse: "Se un uomo viene catturato in piena notte vuol dire che qualcosa di grave ha commesso". L'abitudine vigliacca a perseguitare uomini innocenti si alimenta spesso, negli spiriti colti, di un'ironia tetra che fa venire i brividi.
Nella nostra storia recente ci sono stati uomini innocenti su cui l'ingiustizia si è abbattuta con una violenza inaudita, distruggendo vite, affetti, violando il cerchio sacro della dignità. Uomini la cui unica colpa era di essere più esposti di altri al clamore e all'invidia. Ad alcuni di loro la storia ha concesso riscatto, verità, giustizia, per quanto le ferite siano rimaste insanabili; questi uomini non hanno perso tempo a dare lezioni, hanno potuto solo rigettarsi a capofitto nella vita che era stata loro strappata come un bisogno primordiale. Ad altri, il destino non ha concesso neppure il tempo di capire.
Ci sono uomini, al contrario, che hanno seminato odio e violenza; hanno contributo a farci respirare il piombo di anni difficili. Uomini che poi uno Stato di diritto, nella complessità di percorsi giudiziari, ha riconosciuto anche colpevoli di un reato. Continuano a proclamarsi innocenti e il nostro amore per la dignità c'impone di lasciare aperto lo spiraglio del dubbio sempre e comunque. Ma questi uomini che dovrebbero accompagnare la loro intelligenza con il silenzio, sono quelli che oggi ci martellano sul bisogno di capire, evitando accuratamente di spiegarci loro il "perché".
Sofri, riconosciuto colpevole da questo Stato, oggi parla, scrive su giornali importanti, pubblica libri, partecipa come ospite d'onore a congressi di partito, si fa fotografare in strada come una star. E' un suo diritto che questo stesso Stato gli garantisce. Attorno a lui una rete di affetti ma anche di protezione e di potere garantisce tutto quello che ad altri è stato sempre negato. Luigi Calabresi, uomo innocente, non può più parlare. E ora, quelli che di quella ingiustizia sono stati artefici ci chiedono di capire, quando sono loro che dovrebbero spiegarci perché un uomo innocente è stato ammazzato da un branco di assassini armati di pistola, con il plauso di un branco di vigliacchi armati di penne.
A volte il più grande gesto di pietà è il silenzio. Un pudore leggero, che tra una kermesse e un'intervista, speriamo che Sofri prima o poi ci regali...
Immagine: Salvador Dalì, Persistenza della memoria, 1931

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08 maggio 2007

antropologicamente superiori

Non serve scomodare Michele Serra, lo sappiamo che sono superiori, in Italia come in Francia, a sinistra, come à gauche. Ce lo ricordano ogni giorno i nostri sensi di colpa reazionari, i nostri complessi di inferiorità, quel frustrante bisogno di essere accettati che ci portiamo dietro da tempo immemorabile per farci perdonare la nostra intrusione nel mondo. A sinistra sono "antropologicamente superiori", punto è basta. Bisogna farsene una ragione. Non possiamo competere con loro. Non abbiamo la stoffa. Poi chiaro dipende dai casi, dalle latitudini, dalla pronuncia (se la evve è moscia la supeviovità sale). Dipende anche dalla fisiognomica: se uno si confronta con le facce di Prodi, Fassino e Russo Spena… pure pure se la gioca. Ma quando di fronte ha il sorriso di Ségolène Royal, allora non c’è partita. E si è visto. Che poi loro, gli "antropologicamente superiori", stiano prendendo schiaffi in tutta Europa questo è un altro paio di maniche. Può essere il segno del Kali Yuga, oppure della nuova offensiva delle oscure forze della reazione che dal Vaticano, alla Casa Bianca, all’Eliseo, muovono contro i legittimi diritti dei diseredati che gli abitini griffati di quella povera proletaria di Ségolène rappresentavano in pieno. Ma la sconfitta politica non mina certamente quella superiorità di animo e di cultura che promana da ogni pelo di barba di intellettuale sessantotardo, da ogni lacrima isterica della Melandri, da ogni ghigno feroce e stupido di quei figli di papà che rivestono di rivoluzione e molotov la loro frustrazione piccolo borghese. "Antropologicamente superiori" è un dettato costituzionale a cui ci si deve arrendere: basta provare ad ascoltare Ségolène senza ridere o rileggere il discorso di Veltroni al congresso del PD quando dice che quelli di sinistra sono quelli che si preoccupano delle vecchiette sole, lasciando intendere che quelli di destra le vecchiette le puntano con il Suv. E non c’è da sorprendersi se di fronte a questo straordinario editoriale di Maria Laura Rodotà, uno "antropologicamente inferiore" pensa come si possano scrivere tante cazzate in 24 righe…
E quando casualmente, per un bizzarro scherzo del destino, forse aiutata da quella particolare congiunzione astrale che si chiama “culo”, la Destra vince immeritatamente come in Francia, beh allora noi "antropologicamente inferiori" dovremmo perlomeno concedere l’onore delle armi agli sconfitti. E lo faremmo pure se la gauche di Segoléne non si fosse mostrata così meschina e repellente da fare schifo persino al nostro stomaco allenato ai Caruso nostrani.
Perché quell’invito a scatenare la rivolta nel caso di vittoria di Sarkozy ha superato per scelleratezza anche le stupidaggini di Gino Strada.
Il problema è se il mondo si rovescia. Se gli "antropologicamente superiori" cominciano a pensare di non esserlo poi così tanto; se un incubo di destra come Sarko inizia a sembrare più superiore di loro. Se la sua vittoria è soprattutto una vittoria di un’idea chiara, precisa, convincente del mondo, delle sfide da raccogliere e del ruolo che il proprio paese deve avere. Se lo sguardo curioso e determinato di Sarkozy è superiore al gelido e finto sorriso della bella signorinella di Lorena.
Massimo Nava sul Corriere ha definito Sarko
"un Blair di destra"
dimenticando che Blair è stato una "Thatcher di sinistra" e con la differenza che il buon Tony in Europa è stato isolato proprio dalla sinistra europea sui grandi temi che creano oggi un’identità. Ma quel timore che qualcuno voglia esaltare il lato conservatore di Sarkozy e nascondere quello riformista che piace anche a sinistra, è un timore infondato. Perché la destra di governo in Europa ha sempre saputo accelerare i tempi e anticipare i processi. La stessa destra che in forme diverse continua a produrre modernizzazione e cambiamento da almeno 30 anni a questa parte, costringendo la sinistra a rincorrerla o al massimo ad adagiarsi sulle riforme che essa fa (come è stato in Gran Bretagna e Spagna). Margareth Thatcher, Kohl, Aznar, Berlusconi, grandi leader che hanno promosso e accelerato processi di modernizzazione e di cambiamento politico e sociale… ma anche di linguaggi e immaginario simbolico.
Dei grandi leader della destra europea che hanno fatto la storia, Sarkozy ha qualcosa in più. Innanzitutto ha la Francia dietro di sé: un grande paese che riscopre l’orgoglio del proprio ruolo nel mondo. Poi ha la grande tradizione gollista di una destra moderna che Chirac aveva addormentato nella misera gestione del potere. Infine ha la grande visione delle nuove sfide in gioco nel campo dell’identità, dei diritti civili, del ruolo di una laicità capace di considerare la religione come elemento fondante e forza di una democrazia moderna. Ma Sarko incarna anche la consapevolezza che il mito degli "antropologicamente superiori" è pattumiera, come le idee di una sinistra che arranca in tutta Europa impaurita dalle sfide che sono di fronte a noi, rinchiusa nel retaggio ideologico di un ’68 che ha prodotto più danni che altro. Rimane la questione dello stile; e il dito medio con cui gli "antropologicamente superiori" hanno salutato la vittoria di Sarkozy in Francia rappresenta la frustrazione di chi, almeno per una volta, non si sente più tanto superiore.

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04 maggio 2007

quel minuto di raccoglimento... in Malawi

A tutto c'è un limite. Anche al senso del ridicolo. O almeno dovrebbe esserci; e se non c'è, qualcuno dovrebbe fissarlo. Un codice stradale per limitare l'eccesso di stupidità, perché quando il ridicolo diventa offesa per gli altri dovrebbe essere proibito per legge.
Borgata Fidene, Roma. Funerali di Vanessa Russo uccisa a 23 anni da un balorda rumena in metropolitana per un banale diverbio, mentre andava a lavoro. Un omicidio come ne avvengono tanti in una qualsiasi grande città del mondo dove milioni di persone si accalcano ogni giorno soffocate dallo stress, dallo smog, chiuse nei propri problemi, nelle nevrosi e nelle tensioni. Se lo spazio si restringe l'aggressività aumenta. A New York, a Londra, a Caracas si muore in maniera simile. Insomma, quella di Vanessa potrebbe essere una storia di ordinaria emarginazione se la sua assassina non fosse straniera e se non fossimo a Roma dove l'emarginazione non esiste, dove la violenza sociale è un'invenzione della destra e dove il Comune organizza la "festa del vicino di casa" per promuovere la socializzazione.
A Fidene c'era tanta rabbia giusta e molta rabbia sbagliata; ma questo è lo specchio di una città vera che ogni tanto si sveglia dalla favola arcobaleno che i media raccontano ogni giorno. E' la Roma del disagio sociale, delle borgate, della concentrazione di nomadi più alta d'Europa; della microcriminalità incontrollata meno visibile ma più pericolosa per i cittadini; è la Roma dei vigili urbani che da anni chiedono di andare in giro armati stanchi delle aggressioni e delle violenze ai loro danni; dei parcheggi a pagamento dove paghi il doppio ticket: uno al Comune, l'altro al racket degli abusivi per non farti sfasciare l'auto; dei cinesi che qui sono buoni perché c'è Veltroni e non perché l'Esquilino è diventata una zona franca dove la legalità è sospesa e nessuno si azzarda a far rispettare loro le leggi.
Sotto Borgata Fidene scorre, come un fiume, la via Salaria. Lì, a qualsiasi ora del giorno e della notte, centinaia di bambine (bambine sul serio!!) romene o moldave, battono ai lati della strada, spesso nude. Vittime di un sistema criminale che si regge e si arricchisce sulle nuove schiavitù e sulla tratta di esseri umani. Qualche settimana fa, Rai Educational ha trasmesso un'inchiesta terribile e spaventosa su questo tema intervistando le ragazze della Salaria, nel silenzio assoluto delle istituzioni. Doina, la balorda che ha ucciso Vanessa è una prostituta anche lei; un po' più grande. Ha 22 anni e due figli in Romania. Anche lei è entrata in Italia minorenne.
Ai funerali di Vanessa sono andati anche i politici: il Presidente della Regione Marrazzo e il vice-sindaco Garavaglia. Si sono beccati fischi e insulti, anche più gravi di quelli raccontati dai giornali. E' normale che sia così: il politico diventa il bersaglio da colpire e anche il più facile. Veltroni non c'era. Lui, così onnipresente nelle situazioni dove si piange e in quelle dove si ride, laddove i sentimenti si collezionano come figurine, lui a Borgata Fidene non c'è andato. Era in Africa, nel suo viaggio annuale con le scuole romane e con la corte di scriba di redazione che hanno documentato le strette di mano, gli abbracci, le emozioni e i progetti di cooperazione. Perché la solidarietà è importante sopratutto se la fai portandoti dietro un po' di giornalisti. Il sindaco di Roma ha avuto fortuna, si è salvato dai fischi e dalla rabbia perché l'Africa era lontana. Eppure quei fischi alla sua vice erano in fondo per lui. Veltroni ha fatto dettare alle agenzie il suo immenso dolore, perché il dolore quando è troppo grande va tirato fuori per poterlo meglio elaborare: e cosa c'è di meglio di un'Ansa o di un AdnKronos? "Il sindaco di Roma Walter Veltroni e gli studenti romani hanno osservato un minuto di silenzio in Malawi per Vanessa (...) lungo la strada che porta all'aeroporto di Lilongwe (...) i cento studenti, scesi dai pullman, si sono raccolti in cerchio, al lato della strada, e Veltroni ha spiegato loro che Vanessa Russo "è morta in una circostanza assurda" (...) si sono raccolti in silenzio anche l'assessore alla Scuola del Comune di Roma, Maria Coscia, e il delegato per la cooperazione Giobbe Covatta (Ansa del 2 maggio)". Un minuto di raccoglimento per Vanessa. In Malawi. tutti in circolo con Giobbe Covatta. Tutti in silenzio con gli occhi bassi e addolorati... tranne i giornalisti che avranno scattato le foto e scritto i pezzi.

Ma se Vanessa è morta in una "circostanza assurda" come dice Veltroni, perché lui ha concesso una giornata di lutto cittadino? Anche morire cadendo dalle scale è una circostanza assurda. Forse qualcuno a Fidene avrà pensato che l'Africa non occorre andarla a cercare laggiù. Basta girare per qualche borgata romana dove gli immigrati vivono accampati nelle bidonville e le ragazzine dell'est si vendono ai clienti italiani. Ma quel minuto di raccoglimento in Malawi dettato alle agenzie con spudorata compiacenza dimostra altro.
Veltroni è un nudista dei sentimenti. Un raccapricciante testimone del vuoto della politica. Un giocatore di poker che sa utilizzare il bluff senza scoprirsi mai; un collezionista di gesti simbolici che ha capito che nel mondo dei media questi non hanno valore per la loro straordinarietà, ma per la loro banalizzazione.
Il veltronismo in fondo è questo: un apparire in un necessario bisogno di accettazione, conforto, solidarismo. Un piacere agli altri che in fondo è un piacersi continuo. Non è una nuova politica ma la sua negazione. Se il futuro PD diventerà veltroniano, la sinistra italiana regredirà ulteriormente a una fase addirittura pre-ideologica, peggiore di quella che sta attraversando. Il tuffo dentro un'astrazione che non affronta mai i problemi, ma li mimetizza nei sensi di colpa; non pensa a dare risposte ma a definire antropologie, caratteri e a giocare con la retorica.
Il suo discorso al congresso del Pd è stato emblematico: "Sono di sinistra se di fronte alla solitudine di un'anziana mi accorgo che anche la mia vita perde qualcosa. Sono di sinistra se le rinunce di una famiglia di quattro persone in cui entrano 1.200 euro al mese, rende anche la mia vita più povera. Se l'attesa di mesi di un malato è anche un mio problema, se la disperazione di un contadino del Sud del mondo diventa anche la mia, allora sono di sinistra". Una sotto-ideologia del post moderno che non si preoccupa neanche di analizzare i fenomeni sociali, economici ma solo di drogare i sentimenti, trasformare la realtà in un immaginario a uso e consumo di un sentimentalismo mediatico.
La politica, a volte, può anche accettare di essere amorale quando deve confrontarsi con la realtà e definire conflitti, priorità, gerarchie e scelte. Ma non dovrebbe mai diventare immorale. Quel minuto di raccoglimento in Malawi dettato alle agenzie stampa, mentre a Fidene il dolore vero accompagnava la bara di una ragazza, è un gesto profondamente immorale...

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02 maggio 2007

se i “prodiani” francesi votano Sarkozy

In questo blog non si crede molto ai sondaggi. Da quando Lilli Gruber cambiò di colore in diretta televisiva, trasformando il suo fondo tinta amaranto in un grigio cianotico, durante la lunga notte delle elezioni americane in cui Bush fece a pezzettini Kerry, dopo che sondaggi ed exit-poll avevano dato il democratico vincitore; e quando i compagni del Manifesto collezionarono quella memorabile figura di merda regalandoci una pagina di indimenticabile giornalismo... da allora, dicevo, abbiamo iniziato a nutrire qualche dubbio sulle capacità divinatorie dei sondaggi. Poi sono arrivate le elezioni italiane con i 7 punti di vantaggio che tutti i sondaggi (tranne quelli che aveva in mano Berlusconi) davano al centrosinistra e la nuova primavera ulivista prevista negli exit poll. Abbiamo visto come è andata. Quindi la cautela è d'obbligo.
Ma siccome
il nostro fraterno sindaco di Tocque-ville ce la mena spesso con ‘sta storia dei sondaggi (e a dire il vero, lui quasi sempre ci prende), stavolta per le elezioni francesi gli siamo andati appresso. E spulciando tra i suoi riferimenti di sondaggisti d’oltralpe, estrapoliamo un dato odierno che ci sembra fondamentale per capire quello che sta succedendo in Francia.
Il sondaggio Ipsos di oggi, oltre all'allargamento della forbice tra Sarkozy e Royal (ora +7%) rivela le intenzioni di voto degli elettori dei due esclusi dal ballottaggio finale: Bayrou e Le Pen. E se appare scontato il dato dell’estrema destra che indica una netta discesa degli elettori del Front National che dichiarano di voler votare per uno dei due candidati (per Sarkozy dal 61 al 57% e per la Royal dal 15 al 9%) in relazione all’invito di Le Pen ad astenersi, molto più interessante è l’altro grafico presentato. In quest’ultima rivelazione Sarkozy supererebbe la Royal anche tra gli elettori di Bayrou: il 37% voterebbe a favore del mitico Sarko e il 36% a favore della divertente Ségolène, con un 5% di spostamento da un candidato all’altro ed un’astensione stabile, dati questo che, a pochi giorni dall’elezione, potrebbero essere molto indicativi.
Per scaltri e competenti osservatori politici come noi appaiono chiari i fattori determinanti questa evoluzione che potrebbe sancire l’esito finale delle presidenziali francesi. Innanzitutto la collocazione tradizionalmente a destra dell’elettorato centrista francese (dai tempi di Giscard d’Estaing) che, confluito in buona parte negli arancioni di Bayrou, tende nel ballottaggio a riposizionarsi a destra; poi il fatto che comunque la giri e nonostante il mascheramento che i media (anche italiani) fanno della bella signora francese, la Royal appare di una limitatezza politica imbarazzante. In più metteteci che Sarkozy rappresenta veramente l’unica figura forte, innovativa, determinata di fronte alle sfide di questa fase storica, che la politica europea ha partorito negli ultimi 10 anni, ecco che le spiegazioni ci sarebbero pure... se credessimo nei sondaggi.
Ma in più nessuno ci toglie dalla testa che a decretare l’impennata delle intenzioni di voto a favore di Sarkozy anche dell’elettorato di Bayrou, ci sia un altro elemento… non meno serio: l’importanza della discesa in campo di quel grande statista europeo, che si chiama Romano Prodi, che si è speso in prima persona per costruire l’alleanza tra i democratici e i socialisti francesi, chiedendo espressamente a Bayrou (suo amico) di appoggiare la Royal. Pochi giorni fa, intervenendo con un videomessaggio alla convention dei socialisti francesi aveva detto: "Cari amici, i democratici ed i socialisti, gli europeisti convinti, devono unire le loro forze per una azione comune per costruire una nuova societa'. In Italia abbiamo cominciato a farlo, il governo che io guido è già il risultato di questa convergenza tra la tradizione e i valori dei socialisti e quelli dei democratici''.
Noi, che non siamo "europeisti convinti" (perché amiamo l’Europa), che non siamo socialisti (perché amiamo la libertà) e che non siamo neanche tanto tanto democratici (per questo rispettiamo diversità e pluralismo e abbiamo un’idea precisa di identità) ci accontentiamo di immaginare un’Europa un po’ più decente di quella spazzatura burocratica e imbelle costruita da Prodi durante la sua presidenza a Bruxelles. Per questo speriamo nella vittoria di Sarkozy, convinti che le nuove sfide politiche l'Europa le possa vincere solo partendo dalla sua identità, difendendo la sua storia, garantendo la sua sicurezza, abbattendo i privilegi economici e sociali costruiti dalle sinistre, sconfiggendo quel cancro culturale che ancora ci portiamo dietro che è stata la cultura del '68 e quella del '77, e legittimando guide forti, governi autorevoli e politiche realiste in grado di dare retta ai bisogni della gente e non dei gruppi di potere e delle cricche intellettuali. Insomma, una moderna politica di destra. Allez Sarko!

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