la politica si fa Rete
Ed improvvisamente la politica italiana ha scoperto internet. Come d’incanto si è accorta che la Rete non è più una realtà virtuale, ma una realtà, punto e basta. Uno spazio fisico ed un luogo simbolico nel quale prendono forma identità, si alimentano dinamiche sociali, si generano conflitti. In altre parole, la Rete è uno spazio politico.
Questo vale per la campagna elettorale di Obama costruita su Facebook e su You Tube, per le rivolte arabe in Tunisia ed Egitto alimentate dalla “generazione di twitter”, per le mobilitazioni sociali dei nuovi movimentismi come quello del Tea Party americano o quello degli “indignados” spagnoli, per il ruolo avuto dai social media durante l’ultimo referendum italiano. Vale, e varrà sempre di più.
Questo vale per la campagna elettorale di Obama costruita su Facebook e su You Tube, per le rivolte arabe in Tunisia ed Egitto alimentate dalla “generazione di twitter”, per le mobilitazioni sociali dei nuovi movimentismi come quello del Tea Party americano o quello degli “indignados” spagnoli, per il ruolo avuto dai social media durante l’ultimo referendum italiano. Vale, e varrà sempre di più.
Clay Shirky, su Foreign Affairs, ha spiegato che già oggi i social media permettono di adottare nuove strategie politiche e che, sempre più, queste strategie si riveleranno cruciali. E questo perché le reti digitali nel loro complesso consentono una maggiore diffusione delle informazioni, una maggiore facilità di interazione pubblica da parte dei cittadini e una grandissima velocità di coordinamento dei gruppi. E questo non da ora: nel gennaio del 2001, nelle Filippine, la notizia dell’assoluzione dal processo per corruzione del Presidente Estrada portò in piazza migliaia di cittadini indignati, mobilitati tramite sms, che divennero milioni nei giorni successivi; la capacità di mobilitazione immediata spaventò così tanto la Corte che, qualche giorno dopo, essa dovette rivedere il giudizio votando l’impeachment e costringendo Estrada alle dimissioni.
Anche in Italia, seppur timidamente, la Rete sta diventando uno spazio politico abitato soprattutto dai giovani che diventano i nuovi protagonisti di un ritorno alla partecipazione che la politica ufficiale, quella dei frequentatori di salotti televisivi o dei dispensatori di interviste cartacee, ancora non sa riconoscere. La Rete sfrutta il processo di disintermediazione attuato dalla rivoluzione digitale, che disarticola non solo i modelli di integrazione verticale del mercato, ma anche i modelli di organizzazione sociale. La disintermediazione comporta la crisi dei mediatori tradizionali che in politica vuol dire la crisi dei partiti, almeno per come li conosciamo noi dal ‘900.
Se, come ha spiegato Hanna Arendt, la politica è relazione, ogni relazione ha bisogno di uno spazio fisico dove realizzarsi e di un luogo simbolico dove immaginarsi. La Rete, interattiva e globale, è l’estrema frontiera di un nuovo modello relazionale e quindi politico.
Ogni rivoluzione sociale, ogni processo di trasformazione che genera cambiamenti radicali, prende forma all’interno di uno spazio fisico, che si trasforma anche poi luogo simbolico necessario a fissare l’immaginario condiviso. La politica stessa è nata all’interno della polis, spazio fisico e simbolico che metteva in relazione gli uomini e formava il corpo sociale.
Anche le rivoluzioni moderne hanno avuto bisogno di uno spazio fisico e di un luogo simbolico. Quando noi pensiamo alla rivoluzione industriale ci viene in mente immediatamente la fabbrica alla base dei mutamenti del sistema produttivo e dove si sono generati i conflitti sociali. Ma la fabbrica divenne anche il luogo dove il movimento operaio e quello sindacale costruirono la propria identità. Le rivoluzioni idealiste del primo novecento, che prepararono i fermenti politici e culturali del secolo, ebbero come spazio fisico e simbolico i caffè delle città europee, luoghi dove si cospirava, si scrivevano opere letterarie o liriche, si stabilivano accordi politici, si fondavano avanguardie, si elaboravano filosofie: luoghi dove, come ha scritto il filosofo George Steiner, si è “dato contenuto all’idea di Europa”. E il ’68, l’ultima grande rivoluzione politica dell’Occidente, non può essere pensato senza collegarlo alle Università e ai luoghi di produzione di quel sapere che i sessantottini volevano abbattere.
All’interno della rivoluzione digitale che sta modificando la nostra società dal profondo ed il modo in cui agiamo e pensiamo, la Rete è insieme polis (luogo di relazione), fabbrica (spazio di un nuovo sistema produttivo), caffè (luogo di nuova creatività) e università (spazio di nuovi saperi). La Rete sta diventando lo spazio politico per eccellenza.
Se, come ha spiegato Hanna Arendt, la politica è relazione, ogni relazione ha bisogno di uno spazio fisico dove realizzarsi e di un luogo simbolico dove immaginarsi. La Rete, interattiva e globale, è l’estrema frontiera di un nuovo modello relazionale e quindi politico.
Ogni rivoluzione sociale, ogni processo di trasformazione che genera cambiamenti radicali, prende forma all’interno di uno spazio fisico, che si trasforma anche poi luogo simbolico necessario a fissare l’immaginario condiviso. La politica stessa è nata all’interno della polis, spazio fisico e simbolico che metteva in relazione gli uomini e formava il corpo sociale.
Anche le rivoluzioni moderne hanno avuto bisogno di uno spazio fisico e di un luogo simbolico. Quando noi pensiamo alla rivoluzione industriale ci viene in mente immediatamente la fabbrica alla base dei mutamenti del sistema produttivo e dove si sono generati i conflitti sociali. Ma la fabbrica divenne anche il luogo dove il movimento operaio e quello sindacale costruirono la propria identità. Le rivoluzioni idealiste del primo novecento, che prepararono i fermenti politici e culturali del secolo, ebbero come spazio fisico e simbolico i caffè delle città europee, luoghi dove si cospirava, si scrivevano opere letterarie o liriche, si stabilivano accordi politici, si fondavano avanguardie, si elaboravano filosofie: luoghi dove, come ha scritto il filosofo George Steiner, si è “dato contenuto all’idea di Europa”. E il ’68, l’ultima grande rivoluzione politica dell’Occidente, non può essere pensato senza collegarlo alle Università e ai luoghi di produzione di quel sapere che i sessantottini volevano abbattere.
All’interno della rivoluzione digitale che sta modificando la nostra società dal profondo ed il modo in cui agiamo e pensiamo, la Rete è insieme polis (luogo di relazione), fabbrica (spazio di un nuovo sistema produttivo), caffè (luogo di nuova creatività) e università (spazio di nuovi saperi). La Rete sta diventando lo spazio politico per eccellenza.
Se i brontosauri della politica italiana, quelli del giornalismo di carta, quelli che continuano a menarla con Santoro si o Santoro no e che quando parlano d’informazione non vanno oltre il TG delle 20, neanche fossimo ai tempi di Carosello, non si accorgono dello tsunami che li sta investendo, il problema non è solo loro. Purtroppo diventa anche nostro. La Rete ha un volto oscuro che è impossibile ignorare. La sua dimensione totalmente orizzontale rende il confine tra politica e antipolitica molto labile. Ed il rischio è che la Rete, da spazio politico, diventi il regno dell’antipolitica. E questo serve alla democrazia?
© Il Tempo, 19 Giugno 2011
Immagine: Berenice Abbott, Court of the first model tenements in New York, 1937
© Il Tempo, 19 Giugno 2011
Immagine: Berenice Abbott, Court of the first model tenements in New York, 1937
3 Comments:
Estremamente preoccupante considerare la rete come una Polis.
Inneggiare al progresso e al senso civico sviluppatosi negli ultimi tempi (senso civico solo ora dopo le amministrative e i referendum?)è pura follia. Troppo spesso il web è risultato uno spazio virtuale di maschere e, spesso, riflesso di frustrazioni mal digerite, dove ognuno parla senza cognizione di causa, dando voce alla propria pancia.
Questa non è democrazia, è anarchia di fatto, mentre la vecchia politica non ha capito che termitaio ha dentro casa.
Tutto ciò mi mette i brividi e ne sono sinceramente preoccupata.
Morrigan
"La disintermediazione comporta la crisi dei mediatori tradizionali che in politica vuol dire la crisi dei partiti, almeno per come li conosciamo noi dal ‘900."
Due brevi riflessioni.
1. La rete, per sua natura, mi sembra che faccia anche di più: tende a eliminare la mediazione in quanto tale. La "relazione" tende a diventare pavloviana: Io-ti-convoco-tu-scendi-in-piazza.
2. Forza Italia fu dirompente, trasferendo la "relazione" tra il politico e il popolo dal partito al tubo catodico. E la cosa sorprendente (e positiva) fu che l'elettorato conservatore capì e si adeguò. Speriamo che accada lo stesso anche con la rete.
Morrigan, non è nè democrazia, né anarchia. E' un paradigma nuovo che ancora non sappiamo decifrare. Democrazia e anarchia sono due degli aspetti su cui abbiamo fomrato o contrastato lo Stato- nazione. La rete elimina questa struttura. Non devi preoccuparti gli scenari che si aprono sono diversi ma non per questo peggiori...
Vincenzillo, si la disintermediazione è l'eliminazione dei mediatori. Il medium è il messaggio. Ciò che rende centrale la rete non è ciò che vi circola ma l'insieme di relazioni che vi si creano. La politica si è incentrata prima sul libro (democrazia ideologica), poi sulla televisione (democrazia di massa) ora sulla Rete (democrazia....?) Vedremo....
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