un Pdl senza coraggio
Gaetano Quagliariello, intervenendo nel dibattito sul centrodestra, ha affermato che dovremmo cominciare “col chiederci quale Pdl vogliamo”. E questa è già una discreta base di partenza per un partito che, da quando è nato, non si è chiesto mai nulla e soprattutto non ha permesso ad alcuno di chiedersi qualcosa. Nonostante la miriade di fondazioni ed improbabili think tank credo, a mia memoria, che nessun partito abbia mai goduto di un’assenza di dibattito politico e culturale interno e di una così spaventosa immobilità intellettuale come quella che ha caratterizzato, in questi anni, il Pdl. Il paradosso di questo partito, che ha voluto la parola libertà persino nel suo stesso nome, non è tanto l’assenza di libertà, quanto l’assenza del desiderio di libertà della sua classe dirigente
Se ne può attribuire la responsabilità al suo leader e al suo carisma totalizzante, ma sarebbe troppo semplice. La realtà è che in questi due anni, se una responsabilità Berlusconi ha avuto, è stata, al contrario, quella di essersi totalmente disinteressato allo strumento partito, delegandone ad altri la realizzazione, sottovalutandone la funzione politica in termini di costruzione di immaginario, aggregazione di segmenti sociali, selezione di classe dirigente e radicamento territoriale. Così facendo, ha consentito ad un’oligarchia famelica di prendere possesso del Pdl imponendo regole attraverso una costante assenza di regole
In questi anni abbiamo spesso sentito parlare, dai fumosi teorici del Pdl, di “partito leggero e carismatico” come segno distintivo di questo processo. Ma i partiti leggeri sono in genere riflessi di democrazie pesanti, in grado di costruire un rapporto diretto tra società politica e civile, tra classe dirigente ed elettorato; democrazie in cui la logica delle primarie è naturale. Invece, né partito pesante, né partito leggero, il Pdl è rimasto sospeso a mezz’aria, in balia del minimo soffio di vento contrario. Ma in natura, così come in politica, sfidare la forza di gravità è cosa impegnativa. Ci vuole innanzitutto la spregiudicatezza e il coraggio che molti dei politici del Pdl non hanno avuto. Le primarie, che questo giornale chiede a gran voce, sono esattamente la forza motrice necessaria a riportare in alto un Pdl che, come la mela di Newton, è caduto in testa ai suoi incauti scienziati e a quel popolo che continua a credere in una democrazia matura e bipolare.
La realtà è che questo partito oligarchico è anche il prodotto di un’assurda legge elettorale, che consegna nelle mani di burocrazie senza legittimazione il potere di costruire candidature e dirigere destini politici. Per questo, come ha ricordato Giorgia Meloni proprio sul Tempo, se la legge non cambia, le primarie sono ancor più necessarie.
Se ne può attribuire la responsabilità al suo leader e al suo carisma totalizzante, ma sarebbe troppo semplice. La realtà è che in questi due anni, se una responsabilità Berlusconi ha avuto, è stata, al contrario, quella di essersi totalmente disinteressato allo strumento partito, delegandone ad altri la realizzazione, sottovalutandone la funzione politica in termini di costruzione di immaginario, aggregazione di segmenti sociali, selezione di classe dirigente e radicamento territoriale. Così facendo, ha consentito ad un’oligarchia famelica di prendere possesso del Pdl imponendo regole attraverso una costante assenza di regole
In questi anni abbiamo spesso sentito parlare, dai fumosi teorici del Pdl, di “partito leggero e carismatico” come segno distintivo di questo processo. Ma i partiti leggeri sono in genere riflessi di democrazie pesanti, in grado di costruire un rapporto diretto tra società politica e civile, tra classe dirigente ed elettorato; democrazie in cui la logica delle primarie è naturale. Invece, né partito pesante, né partito leggero, il Pdl è rimasto sospeso a mezz’aria, in balia del minimo soffio di vento contrario. Ma in natura, così come in politica, sfidare la forza di gravità è cosa impegnativa. Ci vuole innanzitutto la spregiudicatezza e il coraggio che molti dei politici del Pdl non hanno avuto. Le primarie, che questo giornale chiede a gran voce, sono esattamente la forza motrice necessaria a riportare in alto un Pdl che, come la mela di Newton, è caduto in testa ai suoi incauti scienziati e a quel popolo che continua a credere in una democrazia matura e bipolare.
La realtà è che questo partito oligarchico è anche il prodotto di un’assurda legge elettorale, che consegna nelle mani di burocrazie senza legittimazione il potere di costruire candidature e dirigere destini politici. Per questo, come ha ricordato Giorgia Meloni proprio sul Tempo, se la legge non cambia, le primarie sono ancor più necessarie.
Il sen. Quagliariello sostiene che la discussione sul Pdl non sarà rimandata alle calende greche e lo dimostra “la determinazione con cui il partito si è dotato di un segretario politico”. Ottimo. Ma se per questo il Pdl si è dotato anche di un “coordinatore alla Filosofia e ai Valori”, che neppure la sottocaricatura di un Soviet avrebbe mai potuto immaginare.
Uno dei maggiori filosofi contemporanei, Roger Scruton, scrive che “la società civile è duttile. Quanto lo sia dipende da come la si percepisce. E la si percepisce da come la si descrive. Per questo il linguaggio è uno strumento importante nella politica odierna”. Ecco: il linguaggio politico del centrodestra manifesta una totale assenza di percezione di come sta cambiando il paese e, forse, di come è già cambiato. Per questo, dopo la sconfitta elettorale, nel Pdl è rimasto tutto uguale. Eppure gli spazi della politica continuano a cambiare, cambiano le narrazioni che danno senso a nuove forme di partecipazione. La politica si incontra con una dimensione orizzontale offerta dai nuovi strumenti di comunicazione e dai nuovi linguaggi, che ne mette in discussione la verticalità.
Questi sono i momenti in cui, in politica, serve una cosa sola: il coraggio. Senza di questo nulla può essere cambiato. Occorre dire come stanno le cose: il Popolo della Libertà ha perduto la libertà e sta perdendo il suo popolo. Prima che al principale partito italiano rimangano solo “il” e “della”, c’è bisogno di un atto di coraggio della sua classe dirigente, politica ed intellettuale. A cominciare dalla scelta delle primarie.
Uno dei maggiori filosofi contemporanei, Roger Scruton, scrive che “la società civile è duttile. Quanto lo sia dipende da come la si percepisce. E la si percepisce da come la si descrive. Per questo il linguaggio è uno strumento importante nella politica odierna”. Ecco: il linguaggio politico del centrodestra manifesta una totale assenza di percezione di come sta cambiando il paese e, forse, di come è già cambiato. Per questo, dopo la sconfitta elettorale, nel Pdl è rimasto tutto uguale. Eppure gli spazi della politica continuano a cambiare, cambiano le narrazioni che danno senso a nuove forme di partecipazione. La politica si incontra con una dimensione orizzontale offerta dai nuovi strumenti di comunicazione e dai nuovi linguaggi, che ne mette in discussione la verticalità.
Questi sono i momenti in cui, in politica, serve una cosa sola: il coraggio. Senza di questo nulla può essere cambiato. Occorre dire come stanno le cose: il Popolo della Libertà ha perduto la libertà e sta perdendo il suo popolo. Prima che al principale partito italiano rimangano solo “il” e “della”, c’è bisogno di un atto di coraggio della sua classe dirigente, politica ed intellettuale. A cominciare dalla scelta delle primarie.
© Il Tempo, 22 Giugno 2011
Immagine: Norman Rockwell, No swimming, 1921
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