30 marzo 2007

Andrea e Clelia

In principio era il Verbo...
Confondo ormai la scienza con la sua negazione; il sapere con l’arbitrio; il diritto e la legge con il sopruso. Ma è un problema mio se vedo la realtà in frantumi.
Mi ritorna una storia che le cronache hanno sputato nei giorni scorsi. Una donna pistoiese di 30 anni, moglie di un operaio, decide di abortire. Lei e lui hanno già due bambini e non possono tenerne un terzo; non ce la fanno economicamente. Si decide di abortire per tanti motivi e nessuno è migliore di un altro; la scelta del baratro rende indifferente sapere come si precipita. Perché nell’Occidente dei diritti assoluti e delle libertà individuali, si può fare una legge astratta per tutelare i vizietti di ricchi omosessuali radical-chic e i “vincoli affettivi” di coppie precarie, ma una legge per aiutare le famiglie di carne e sudore che fondano l’amore sulla concretezza di un figlio e quindi sull’arcaico senso del futuro… quella no. E così la mamma di Pistoia abortisce. Tutto secondo la legge. I medici operano, manipolano, invadono, eseguono e per essere sicuri su sua richiesta le impiantano uno IUD, la spirale per evitare future gravidanze. Tutto a posto secondo protocollo medico e normativa vigente. Poi, un mese dopo, visita di controllo per dolori addominali inconsueti e la scoperta: il bambino c’è ed è vivo di 4 mesi. Allora decidono di tenerlo e i suoi fratellini gli regalano anche un nome: Andrea.

Di fronte alle polemiche, la Asl di Pistoia emana un comunicato ufficiale e rassicurante. La malsanità non c’entra nulla: ''come è noto, le IVG chirurgiche eseguite entro 90 giorni di amenorrea comportano un rischio di insuccesso del 2,3 per mille (...)”. Deriva del linguaggio, naufragio della ragione. Per capirci, i 2,3 bambini ogni mille che si salvano da un aborto sono, agli occhi della medicina, un insuccesso. Ineccepibile.

In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio...
Poi mi arriva una lettera bella, come sono belle le cose inaspettate e forse non casuali. È scritta da due genitori che non conosco e racconta di un dolore profondo per una vita scivolata via solo due ore dopo che l’ha toccata la luce del mondo. La piccola Clelia non ce l’ha fatta; è rimasta lì “adagiata nell’incubatrice, con i suoi capelli scuri ancora umidi, da formare quasi delle piccole treccine”. Come avviene in quel tempo fuori dal tempo che la pietà inventa, loro invitano a pregare per il loro angelo; un gesto anti-moderno che evoca silenzio fin dentro l’abisso del dolore che deve urlare troppo forte. In questa lettera si definiscono “un papà e una mamma a mani vuote”, ma che la morte della piccola Clelia “li trascina verso la vita”; e io penso che questa lettera, fatta circolare tra gente che non si conosce, ha qualcosa che assomiglia a una solidarietà incarnata. Perché quel dolore che li ha lasciati “senza parole” ora gli impone di “trovare le parole” e con esse un senso per loro e per noi.

In principio era il Verbo,

il Verbo era presso Dio

e il Verbo era Dio (Gv 1,1)
Andrea e Clelia raccontano due storie che le nostre parole non sanno più raccontare. Perché il linguaggio del moderno non ha più ragione e il linguaggio della fede incontra la ragione perché non è moderno. Andrea è raccontato nella lingua della scienza, lingua moderna e strumento di una civiltà che si crede razionale ma è solo razionalista. Clelia si racconta nella lingua della fede, dentro una preghiera in cui le parole tornano ad essere logos.
Dice Giovanni che in principio era il Verbo, cioè il Logos che non è solo parola ma anche ragione; “una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione” ha detto Benedetto XVI, in quella Lectio capolavoro che è il
discorso di Ratisbona. E il logos è Dio. L’incontro tra fede, parola e ragione è il punto più alto della cultura occidentale; il crocevia dove il dubbio greco abbraccia il Dio biblico.
L’età della comunicazione che è anche quella della Tecnica sovrana e della scienza che non vuole più sapere, sta perdendo senso e parola. La preghiera che è il luogo del non-moderno, trova invece la parola per spiegare il senso laddove non c’è. Questo Occidente stanco e affannato giunto al capolinea della storia, sembra trovare un sussulto in quegli spazi dove i censori vedono solo superstizione; ma è inevitabile che sia così. Il
labirinto di Chartres che richiama il mistero, il dubbio di un percorso, la penombra di una fede che diventa luce, oggi non lo percorre più nessuno; è più facile una stupida e banale linea retta. Tutto è chiaro nel tempo della modernità tesa tra “un papà e una mamma a mani vuote” e i nuovi talebani della scienza: mentre Clelia è diventato un angelo, il piccolo Andrea è solo un insuccesso.
Immagine: Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1624

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27 marzo 2007

due anni da Paolo

Due anni da Paolo. E non sembra vero. L’altra sera l’abbiamo ricordato con tenerezza e semplicità. Con qualche bottiglia di vino, come attorno a un fuoco. Ricordi e piccole emozioni che si rincorrevano. Questo video racconta un po' di lui. Quattro minuti del suo sguardo, delle sue smorfie, dei gesti che accompagnavano le parole e l’ironia. Ma non sarà mai possibile raccontare al mondo chi era veramente Paolo Colli. E forse è giusto così...

ricordi sparsi: un brindisi e un grazie... a paolo! by Anarca, a Paolo by Cato, in cima al monte by Poetessa

23 marzo 2007

gli utili dioti più bravi del mondo

Vada per gli americani che si sa, sono cowboy, arroganti, imperialisti e vogliono che tutti facciano come loro. Se sono incazzati con noi è per partito preso. Non sopportano che siamo tornati liberi e indipendenti dopo 5 anni di sudditanza berlusconiana. E se noi vogliamo Gino Strada ministro degli Esteri, Vauro alla Difesa e il mullah Omar Presidente del Consiglio sono cavoli nostri e non ammettiamo ingerenze.
Vada per gli inglesi con quella loro terribile puzza sotto il naso; eppoi mangiano male, vestono peggio, figurarsi se ci possiamo preoccupare delle loro alzate di testa. Se dicono che quei capi talebani che abbiamo liberato, li avevano catturati loro e che per farlo erano morti 50 soldati di Sua Maestà, beh, ci dispiace per loro. Ma noi avevamo un giornalista di Repubblica da far tornare, mica un tecnico dell’Eni o un bodyguard. Imparassero a guidare a destra poi ne riparliamo…
Vada per i tedeschi, gente che già nell’inno si crede über alles; per loro noi rimaniamo sempre spaghetti, baffonero e mandolino. Se dichiarano che la liberazione dei talebani in cambio del giornalista italiano è stata
"riesenfehler", "un gigantesco errore", sappiamo che nel linguaggio diplomatico significa in realtà: "avete fatto una cazzata che rischiamo di pagare tutti". Loro, i tedeschi, di ostaggi prigionieri ne hanno due. Ma la signora Merkel ha detto: "Sappiamo bene, soprattutto per quanto riguarda la ricostruzione, cosa vuol dire il nostro impegno per il popolo afghano e non ci lasceremo ricattare dai terroristi o da gente che si comporta come tale". Sarà che non hanno ancora mandato giù l'eliminazone ai mondiali?
Vada per gli afghani, ma cosa vogliono poi questi qui? Siamo disposti a comprare tutto il loro oppio, gli abbiamo mandato Gino Strada, gli diamo continue pacche sulle spalle, siano riconoscenti e la smettano di lamentarsi.
Insomma, vada pure se americani, inglesi, tedeschi, afghani ci rimproverano sotto sotto di viltà, di inaffidabilità; possiamo sopportare tutto. Ma che ora anche gli olandesi ci diano lezioni di dignità nazionale… questo no, questo non lo possiamo proprio accettare. Ecco, a cosa ci ha portato un anno di governo Prodi. A farci prendere per il culo pure dagli olandesi, quelli dei tulipani, dei mulini a vento e degli zoccoli frikkettoni. ''Il governo olandese non appoggia tali decisioni, che favoriscono altre prese d'ostaggi'' ha detto il Ministro degli esteri Verhagen. Saranno pure dei Paesi bassi ma di fronte alla difesa degli interessi nazionali sono molto più alti di noi.
Quando governava il centro-destra, per intellettuali e opinionisti di mestiere, noi eravamo un paese isolato a livello internazionale. Solo perché, insieme a nazioni di poco conto come Usa, Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, Portogallo, Polonia, Australia, Giappone e altri 26 paesi, c'eravamo impegnati in prima fila per la lotta contro il terrorismo pagando caro un tributo di sangue e di onore. Eravamo talmente isolati che all’Onu, Kofi Annan riceveva il premier italiano con tutti gli onori riconoscendo il ruolo dell’Italia per la pace nel mondo. Eravamo talmente “italietta” che
Berlusconi veniva accolto al Congresso americano con una standing ovation mai riservata a capi di stato stranieri.
Oggi che invece abbiamo recuperato la dignità perduta consentiamo al famoso giornalista di Repubblica di scendere dall’aereo come avesse vinto i Mondiali (l’hanno scritto su Der Spiegel) e gli permettiamo di dire come prima cosa che si sentiva
“come un prigioniero a Guantanamo” dove si sa tagliano le teste agli autisti e li sgozzano come capretti, e nessuno dico nessuno, che gli abbia dato un bel calcio nel culo imponendogli la dignità del silenzio.
Oggi ci possiamo permettere il "bye bye condi" anche se ci tirano le orecchie da tutte le parti e se 5 ambasciatori di paesi alleati si sentono in dovere di mandare lettere aperte al popolo italiano scavalcando il governo. Oggi non siamo più un paese isolato e la nostra politica estera è determinata e lucida. In Libano
passeggiamo sottobraccio ai leader degli Hezbollah, In Iran rassicuriamo Ahmadinejad che abbiamo delle idee per il loro nucleare; in Afghanistan liberiamo i talebani e li invitiamo ai tavoli della pace, in Palestina telefoniamo al capo di Hamas per dirgli che gli faremo togliere l’embargo che la Comunità internazionale gli ha imposto.
Sarà pure vero che abbiamo riacquistato autonomia ma la svolta jihadista della politica estera italiana dovrebbe preoccupare un po’ tutti. Si sa che l’internazionale islamista si serve dei pacifisti occidentali come gli "utili idioti" per indebolire il fronte della lotta al terrorismo. E siccome noi italiani non siamo secondi a nessuno, abbiamo gli "utili idioti" più bravi del mondo ... al governo.

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02 marzo 2007

il suicidio dei Ds

Tutto secondo copione. La fiducia è stata votata come avevamo previsto e come avevamo auspicato. Il Prodi 2, che in realtà è un Prodi 1 ma "più forte e coeso" (sic) è il peggior regalo che questa sinistra poteva fare al paese; ma, detto fra noi, il miglior regalo che poteva fare al centro-destra. E mentre si consumano scene di applausi preparati, sorrisi, strette di mano, pacche sulle spalle, sospiri di sollievo, facce da culo; mentre registriamo con soddisfazione che l’aspirina di Scalfaro ha fatto effetto, che Follini si sente per un giorno il card. Richelieu, che Russo Spena chiede la luna e non sa che fra un po' ce lo manderanno... sulla luna, ci godiamo il teatrino accompagnando una riflessione sui Ds e sulla loro incapacità di diventare soggetto determinante nello scenario politico italiano. Questo perché la crisi dell’esecutivo e la morte della “nuova primavera ulivista” non sono solo un incidente di percorso; non sono solo la fine di Romano Prodi e di un modo indecente di concepire la politica e gestire il potere in una democrazia moderna e complessa come la nostra; ma sono il frutto di un fallimento decennale di una sinistra che continua a dibattersi tra riformismo e massimalismo, tra la dimensione europea e occidentale e il qualunquismo pacifista.
A 13 anni dalla discesa in campo di Berlusconi e l'invenzione del centro-destra come soggetto politico innovativo, dall'altra parte, gli eredi del Pci, non hanno saputo costruire ancora le condizioni per esprimere una leadership autorevole, credibile e un progetto per il paese attuabile. Certo c'è l'Ulivo, l'Unione, magari ci sarà il Partito Democratico se De Benedetti non si stanca prima e Veltroni la smette di giocare con le figurine Panini, ma all'interno di tutti questi processi i DS stentano a dettare le regole e ad imporre le condizioni per far valere il peso della loro tradizione politica. Questi giorni di crisi continuano ad alimentare lo stato di confusione diessina. Nel crescendo di cazzate che Prodi continua a dire è chiaro che il suo governo è sempre più un ombra messa sullo sfondo di uno scenario in movimento; è ormai un capitolo archiviato nel conto alla rovescia della politica italiana che è ormai partito. Ora la scena si sposta altrove, nelle manovre in atto per ridisegnare spazi di azione di partiti grandi e piccoli, nei sogni ambiziosi dei piccoli leader, negli intrallazzi di una politica debole ed insicura. E in questo trambusto quello che emerge a sinistra (ancora più che a destra) è l’assoluta mancanza di un progetto politico per il paese e di una strategia a tappe per realizzarlo, all’infuori di un Partito Democratico che non sembra nato sotto i migliori auspici e che molti vorrebbero già morto.
Il problema è che non si può pensare di fare politica fondandola semplicemente sull’odio per l’avversario. La politica è qualcosa di leggermente più complesso di una turba psichica post ’89, di una nevrosi collettiva generazionale, della frustrazione da eterni sconfitti della storia. E questa “nuova primavera dell’Ulivo” rischia di creare ai DS più danni del crollo del muro di Berlino, della fine del comunismo e delle lacrime di Occhetto.
Dall’imbroglio delle primarie in poi la dirigenza Ds si è infilata da sola dentro una gabbia fatta di errori a ripetizione e rese continue verso i propri alleati. I Ds sono quelli che hanno investito di più in questo Governo raccogliendo di meno. Quando Prodi è stato costretto alle dimissioni in molti hanno perso l’occasione per una svolta importante. L’hanno persa a destra incaponendosi nella richiesta di impossibili elezioni anticipate; l’hanno persa a sinistra nel non capire che il prezzo che si sarebbe pagato liquidando Prodi (prezzo di una sconfitta evidente) sarebbe stato di gran lunga minore di quello che pagheranno ora continuando a tenerlo in piedi. Se i leader della sinistra avessero optato per una soluzione diversa (governo tecnico o istituzionale), se avessero avuto la capacità di leggere la politica fuori da schemi superati, se avessero con forza imposto una scelta diversa avrebbero visto aprirsi davanti a loro scenari, forse più complessi, non immediati ma più rosei a medio termine. Non solo, ma con una mossa a sorpresa avrebbero potuto scompaginare lo scenario, riacquistare potere di interdizione nella loro coalizione e mettere in grossa difficoltà il centro-destra in questo momento in grande fibrillazione tra la consapevolezza di non poter riproporre Berlusconi sic et simpliciter e la necessità di individuare un percorso unitario che ora non c’è. Invece hanno dato retta alla pancia e non alla testa. Hanno seguito l’istinto e non la ragione. Hanno regalato ai pigmei della loro coalizione i Giordano, i Diliberto, i Mastella, l’iniziativa e questo è il risultato che loro pagheranno per primi.
La genialità in politica è innanzitutto la capacità di spiazzare, di rendersi imprevedibili, di provocare accelerazioni incontrollate, di costringere gli altri a venirti dietro ad inseguirti sul terreno che tu decidi; ciò che spesso ha fatto Berlusconi in questi anni. Perché la politica è innanzitutto rapporti di forza all’interno di un dinamismo che va gestito e determinato. Al contrario, le mosse politiche della dirigenza Ds sono sempre più scontate, banali, prevedibili, balbettanti, impaurite.
Quando D’Alema, con i suoi scatti umorali che da sempre ne segnano il limite politico,
auspica un’alleanza con i nuovi democristiani, sancisce la fine della sinistra italiana. Non solo perché la riedizione di un compromesso storico con Fassino o Veltroni, Rutelli o Casini, al posto di Berlinguer e Moro, non è proprio la stessa cosa. Ma soprattutto perché sembra non vedere che i Ds non sono il Pci; non hanno più il 30%, non sono l’asse dell’equilibrio del sistema politico e subiscono a sinistra una concorrenza spietata che genera erosione di consensi e legittimità in settori sociali che da sempre sono stati il loro bacino di voto, senza aprirne altrove. Continuare a rincorrere pezzi del centro-destra dentro uno scenario in continuo movimento è un segno di miopia; oggi è Casini come ieri era la Lega “costola della sinistra”.
La leadership diessina dovrebbe avere il coraggio di prendere in mano la situazione e porsi al centro dei processi politici come non ha mai fatto in questi anni. Proporre un patto forte con Forza Italia e An per rinforzare il bipolarismo non per indebolirlo, riconoscere il fallimento dell'esperienza governativa e promuovere al più presto un governo tecnico che consenta loro di uscire dalla palude nella quale Prodi li ha invischiati. Altrimenti il rischio è divenire subalterni a un grande centro o rincorrere Bertinotti a sinistra; insomma fare la sinistra del grande centro o fare il centro della sinistra radicale, comunque non sembra un grande progetto.
Se il Pd dovesse fallire, l’intera classe politica diessina ne sarà travolta perché l’aggregazione di un polo riformista avverrà comunque ma al centro. A quel punto il destino dei Ds può finire in un paradosso: il tracollo di una classe dirigente che scioglie la complessa eredità di Berlinguer nell’unica e deprimente scelta possibile: tornare comunisti o morire democristiani. Niente male.
sullo stesso argomento: l'identità della sinistra (07-01-29), se il problema della sinistra è...la sinistra (07-01-17)

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