l'ultima moda: boikotta israele.
Il tizio nella foto si chiama Paul Mackney ed è il segretario del NATFHE , il più grande sindacato degli insegnanti dei college e delle università britanniche.
La storia è nota: in Italia ne hanno parlato Il Foglio e Il Giornale. Il sindacato in questione, forte di oltre 67.000 aderenti, ha deciso il boicottaggio delle università e delle istituzioni israeliane (e dei relativi docenti e ricercatori) che non condanneranno pubblicamente le politiche di “apartheid” dello Stato ebraico nei territori palestinesi.
Inutile dire che l'iniziativa è stata salutata dai media islamici con grande entusiasmo.
Al contrario un becero teocon come Phyllis Chesler sul National Review non ha esitato a scrivere che l'iniziativa: "counts as a propaganda victory for intolerance nonetheless. And it appeases Islamism and bring Europe one step closer to becoming Eurabia—which endangers both America and Israel". Forse esagerando un po’ ma comunque evidenziando il problema della stupidità che questa cultura progressista produce, sopratutto quando entra nel mondo universitario e della ricerca che più di ogni altro dovrebbero essere i luoghi del confronto, dell'apertura e del dialogo.
L’idea di sottoporre gli accademici israeliani ad un test di correttezza politica, a dire il vero, non a tutti è piaciuta. The Guardian ha pubblicato diverse lettere di docenti britannici che hanno denunciato un'operazione che, a tutti gli effetti, nega i principi su cui dovrebbe fondarsi un'università libera.
Il fatto è che quella del boicottaggio anti-israeliano è ormai una moda… e non solo europea. Non c’è organizzazione sindacale, culturale, accademica… di quelle impegnate ovviamente… che non aderisca alla campagna mondiale di boicottaggio contro Israele. L’ultima, di ieri, viene dal Canada.
In compenso il signore della foto ci ha rassicurato circa le profonde motivazioni che lo hanno condotto a questa decisione. Intervistato dal quotidiano israeliano Haaretz ha motivato la scelta del boicottaggio sulla base del fatto che dal settembre 2000, data di inizio della seconda Intifada, sono stati uccisi più palestinesi che israeliani; che sono state colpite da proiettili 185 scuole palestinesi contro una sola israeliana e che il tasso di disoccupazione è più alto tra i palestinesi. "Di fronte a tali ingiustizie", ha affermato il limpido sindacalista, "la società civile palestinese, incluse le università, ha bisogno di sostegno e di solidarietà come mai in passato, e non rimarrò in silenzio".
Le riflessioni profonde sono inutili... rimaniamo noi senza parole. E allora, nella speranza che qualche militante di Hamas non decida di pareggiare il conto delle ingiustizie sioniste, non resta che consolarci del fatto che i sindacalisti scemi non sono una prerogativa solo italiana.
La storia è nota: in Italia ne hanno parlato Il Foglio e Il Giornale. Il sindacato in questione, forte di oltre 67.000 aderenti, ha deciso il boicottaggio delle università e delle istituzioni israeliane (e dei relativi docenti e ricercatori) che non condanneranno pubblicamente le politiche di “apartheid” dello Stato ebraico nei territori palestinesi.
Inutile dire che l'iniziativa è stata salutata dai media islamici con grande entusiasmo.
Al contrario un becero teocon come Phyllis Chesler sul National Review non ha esitato a scrivere che l'iniziativa: "counts as a propaganda victory for intolerance nonetheless. And it appeases Islamism and bring Europe one step closer to becoming Eurabia—which endangers both America and Israel". Forse esagerando un po’ ma comunque evidenziando il problema della stupidità che questa cultura progressista produce, sopratutto quando entra nel mondo universitario e della ricerca che più di ogni altro dovrebbero essere i luoghi del confronto, dell'apertura e del dialogo.
L’idea di sottoporre gli accademici israeliani ad un test di correttezza politica, a dire il vero, non a tutti è piaciuta. The Guardian ha pubblicato diverse lettere di docenti britannici che hanno denunciato un'operazione che, a tutti gli effetti, nega i principi su cui dovrebbe fondarsi un'università libera.
Il fatto è che quella del boicottaggio anti-israeliano è ormai una moda… e non solo europea. Non c’è organizzazione sindacale, culturale, accademica… di quelle impegnate ovviamente… che non aderisca alla campagna mondiale di boicottaggio contro Israele. L’ultima, di ieri, viene dal Canada.
In compenso il signore della foto ci ha rassicurato circa le profonde motivazioni che lo hanno condotto a questa decisione. Intervistato dal quotidiano israeliano Haaretz ha motivato la scelta del boicottaggio sulla base del fatto che dal settembre 2000, data di inizio della seconda Intifada, sono stati uccisi più palestinesi che israeliani; che sono state colpite da proiettili 185 scuole palestinesi contro una sola israeliana e che il tasso di disoccupazione è più alto tra i palestinesi. "Di fronte a tali ingiustizie", ha affermato il limpido sindacalista, "la società civile palestinese, incluse le università, ha bisogno di sostegno e di solidarietà come mai in passato, e non rimarrò in silenzio".
Le riflessioni profonde sono inutili... rimaniamo noi senza parole. E allora, nella speranza che qualche militante di Hamas non decida di pareggiare il conto delle ingiustizie sioniste, non resta che consolarci del fatto che i sindacalisti scemi non sono una prerogativa solo italiana.
9 Comments:
Epifani è in buona compagnia...
Quello della Cisl, invece, quello nuovo, nemmeno sa cos'è il sionismo, secondo me. GM
Beh. Se mettiamo in bilancio alla voce esportazioni "sindacalisti scemi" facciamo un balzo in positivo mica da ridere.
Possiamo pensare di allargare il mercato di queste esportazioni anche in Cina? Io sono per un economia aggressiva.
:-)
Dal fenomeno al fondamento
"Oggi ci troviamo al culmine della diffusione di un fenomeno che appare ormai irrefrenabile: ogni campo del sapere sembra intaccato e affetto da un'epidemia che lascia poche speranze per il nuovo millennio. Si tratta del relativismo, struttura portante del cosiddetto 'pensiero debole', che la modernità ha inflitto alla nostra civiltà diffondendolo a dimensione planetaria sotto morfologie solo apparentemente cangianti, come indifferentismo, mobilismo, pirronismo, soggettivismo, individualismo, ecc., in campo ontologico, gnoseologico, culturale, etico, terminologico. E l'indebolimento del logos, nella nostra epoca, sta portando i suoi frutti: si assiste - e spettatori passivi e inermi ci sentiamo un po' tutti - ad un consequenziale e inesorabile indebolimento del piano valoriale e semantico, fonte di una metafisica distorta che consuma il mondo dei valori come semplici prodotti dell'emotività e la nozione di essere è accantonata per fare spazio alla pura e semplice fattualità. Siamo quindi figli del 'pensiero debole', sfondo e respiro di un mondo frantumato, senza più unità semantica. In effetti abbiamo visto come le svolte fondamentali del pensiero scientifico, le cosiddette "umiliazioni inferte dalla scienza", seguano un filo di Arianna che approda al relativismo, ossia a un nitido indebolimento dell'assoluto, al decentramento dei fondamenti, alla perdita delle certezze. Bisogna, di ciò, prendere atto in relazione al 'pensiero debole' che affligge la nostra epoca: questo è espressione di quell'indebolimento della dimensione ontologico-semantica verificatosi prima nel piano della scienza, poi in quello del pensiero filosofico (ormai influenzato, in toto, dal primo), e infine in quello etico e religioso. Lo scienziato, quindi, si ritrova come background un reticolo epistemologico-subliminale invisibile ma presente, fondo stellato della ricerca scientifica e relativa ermeneutica da Galileo fino ai giorni nostri, che, per interpolazione, giustifica e legittima la moderna immagine relativista e debolista. Mi preme, a questo punto, rilevare che i punti d'interpolazione utilizzati, cioè i vari decentramenti e detronizzazioni, non sono a loro volta "Beyond a Shadow of a Doubt", per citare un commento del noto fisico Clifford Will riguardo la relatività di Einstein: ossia, la cornice relativizzante non è essa stessa assoluta e irreversibile; infatti l'ideologia scientista cade, qui, in un grossolano sofisma quando fa assurgere il contingente a dogmatica certezza. Gli innegabili successi della ricerca scientifica e della tecnologia contemporanea hanno contribuito a diffondere la mentalità scientista, che sembra non avere più confini, visto che è penetrata nelle diverse culture, apportando cambiamenti radicali. Accantonata, in questa prospettiva, la critica proveniente dalla valutazione etica, la mentalità scientista è riuscita a fare accettare da molti l'idea secondo cui ciò che è tecnicamente fattibile diventa di per sé anche moralmente ammissibile. Per quel che mi riguarda non mi lascio abbindolare da un tale quadro semantico e la mia prima reazione, quella contro un certo positismo ortodosso, va inquadrata all'interno della cornice antirelativista, cioè quella che mi induce a un bisogno di assoluto. Dopodiché, tramite il concetto di cronolatria epistemologica, ho sempre tentato di puntellare un altro aspetto dell'assoluto: quello, cioè, di resistere alle fluttuazioni del tempo. Infine, col concetto di logofobia, ho sempre tentato di minare il tessuto epistemologico sottostante il cosiddetto 'pensiero debole', che, minuscolizzando la V del Quid est Veritas di Pilato, deliberatamente rifiuta quel desiderio di Verità senza il quale non si è uomini. In sintesi, la nostra epoca si caratterizza all'insegna della cultura dell'effimero, che nasce dall'adorazione del tempo (cronolatria) e dal disprezzo della verità (logofobia) e si traduce nel prassismo e nell'efficientismo (dell'epoca contemporanea). Ciò si traduce in una diffusa diffidenza verso gli asserti globali e assoluti, in una crisi del senso, all'affermarsi del fenomeno della frammentarietà del sapere, in uno stato di scetticismo e di indifferenza, nonché in una acclamata fine della metafisica, tutto ciò fomentato da un mai spento e anti-tomistico tecnologismo che aleggia in ogni angolo della nostra cultura. Dunque, la società attuale sembra aver intrapreso una direzione per certi versi opposta a quella suggerita dal Sacro. Tutto ciò porta, inevitabilmente, a una più generale concezione, che sembra costituire l'orizzonte comune a molte filosofie che hanno preso il congedo dal senso dell'essere, a uno pseudo-nichilismo occulto quanto operante, commisto ad una "fabulatria polifemica", grazie alla quale le varie potenze dell'illusione si diffondono sul mondo intero disorientando tutte le bussole. Ed è lo stesso gusto dell'effimero, del transitorio, che disturba chi da sempre ha scavato, con profitto, nella tradizione. Senza dubbio tale richiamo alla tradizione non è un mero ricordo del passato; esso costituisce piuttosto il riconoscimento di un patrimonio culturale che appartiene a tutta l'umanità. Anzi, si potrebbe dire che siamo noi ad appartenere alla tradizione e non possiamo disporre di essa come vogliamo. Proprio questo affondare le radici nella tradizione è ciò che permette a noi, oggi, di poter esprimere un pensiero originale, nuovo e progettuale per il futuro. L'incontro fra il mio modo di riflettere e quello contemporaneo diviene, perciò, più che produttivo, poiché fa scaturire la scoperta della possibilità, per l'uomo del nostro tempo, di un umanesimo integrale, autenticamente eroico, proteso alla ricerca dell'Essere, della Verità, della Bellezza, del Bene oggettivo e capace di superare, nell'orizzonte della conoscenza, tanto il fenomenismo quanto l'idealismo, e, in quello dell'etica, il soggettivismo e il relativismo. Lo sforzo, quindi, è quello di restituire dignità alla Verità, addirittura urgenza: perdere il contatto con il logos - con la Verità - infatti, significa perdere la struttura semantica e la tavola dei valori, il senso e l'orientamento dell'umano esistere, il supremo bene della libertà; non per nulla una volta che si è tolta la Verità all'uomo, è pura illusione pretendere di renderlo libero. Verità e libertà, infatti, o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono. Urge, quindi il bisogno di ritornare a una filosofia - letteratura di portata autenticamente metafisica, capace cioè di trascendere i dati empirici per giungere, nella sua ricerca della Verità, a qualcosa di assoluto, di ultimo, di fondante. In parole povere: bisogna 'regredire' dal fenomeno al fondamento".
www.gianruggeromanzoni.it,
blog: www.gianruggeromanzoni.splinder.com
ehm...sii...ma caro Martin, di che ti meravigli?Sindacalista ed insegnante...conosci una razza peggiore?
si! Quella degli imbecilli che lasciano post incomprensibili sul mio blog!
... ammazza, credevo di avere l'esclusiva dele cervellotiche e insensate!
CJ
Bravo GL, impegnamoci per il referendum.
L'elettorato di destra ha bisogno di essere costantemente "stimolato".
Perche non:)
Si, probabilmente lo e
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