26 luglio 2006

embrioni: un malinteso senso del progresso


Staminali: il macabro prodotto di un malinteso senso del progresso

di MARCO BELLIZI
Certe cose non cambiano. Stessi concetti, stesse frasi. Stessi atteggiamenti esteriori, persino. Cosicché, almeno in Italia, quando si tratta della vita (di sopprimere la vita) alcuni si presentano puntuali con il loro macabro appuntamento. Non cambia neanche il repertorio fraseologico: ai tempi del divorzio si parlò di entrare nello "spazio del progresso"; quando si cominciò a parlare di aborto si preferì una piccola variazione sul tema, sbandierando un oscuro "progresso della civiltà" (come se la civiltà potesse progredire uccidendo un essere vivente al quale non è riconosciuto alcun diritto). Così oggi, questi "nipotini del progresso" si ripresentano all'opinione pubblica, penetrano indebitamente negli spazi più sacri della coscienza di milioni di persone pretendendo di guidare con il solito elitario materialismo le sorti (nient'affatto magnifiche e progressive) dell'umanità. Lo slogan non si discosta molto dai precedenti: questa volta si tratta di "entrare nello spazio della ricerca". L'Italia cioè, per diventare finalmente un "Paese moderno", deve fare ricerca sugli embrioni. A loro, al loro sacrificio, è affidato il compito di fare della Penisola una terra di fecondo sviluppo. Per questo il Governo italiano ha deciso di schierarsi con la maggioranza all'interno del Consiglio dei ministri europei votando a favore delle sperimentazioni sulle cellule staminali embrionali. Il ministro per la Ricerca scientifica Fabio Mussi ha reso noti i termini dell'accordo: "sì" dunque al finanziamento europeo per le ricerche sulle "linee di cellule staminali embrionali già esistenti"; "no" alla "distruzione di embrioni al fine di produrre cellule staminali" ed un rinvio del dibattito circa la definizione di un termine per l'impiantabilità degli embrioni, oltre il quale convenire che gli embrioni crioconservati sono utilizzabili ai fini della ricerca. È su quest'ultimo punto in particolare che si sono concentrate le polemiche di chi, nel mondo politico, contesta questo accordo. "L'accordo raggiunto a Bruxelles è ipocrita e francamente inaccettabile - scrivono in una dichiarazione comune, ad esempio, Rocco Buttiglione, Laura Bianconi e Maria Burani Procaccini. Esso afferma che l'Unione europea non finanzierà direttamente la distruzione di embrioni. L'Unione però finanzierà ricerche su linee staminali embrionali derivate dalla distruzione di embrioni". I tre senatori della Cdl paventano uno scenario nel quale, in virtù dell'accordo, un laboratorio privato potrebbe distruggere gli embrioni per ottenere linee cellulari da vendere ai ricercatori che fruiscono dei finanziamenti europei. Un macabro mercimonio. "Questa mostruosità nasce dalla deformazione di una onesta proposta di compromesso, avanzata precedentemente dalla Germania e sulla quale probabilmente sarebbe stato possibile raggiungere un accordo se non ci fosse stata la defezione dell'Italia dalla minoranza di blocco", scrivono i tre senatori. "La proposta (cosiddetta emendamento Niebler) diceva che era possibile finanziare ricerche che facessero uso di linee staminali embrionali prodotte prima di una certa data (per esempio 31 dicembre 2003). In questo modo si sarebbe fatta ricerca su linee staminali derivate da embrioni già distrutti ma non ci si sarebbe resi colpevoli della distruzione di nessun embrione attualmente in vita".

L'Osservatore Romano 26 Luglio 2006

Etichette:

25 luglio 2006

Geopolitica vaticana: Chiesa, Islam e Israele

Un post molto molto molto lungo per provare a smentire Sodano… l’imam

Il 14 luglio scorso, all’indomani dell’attacco di Israele al sud del Libano, il card. Angelo Sodano, segretario di Stato vaticano (ormai in libera uscita), ha rilasciato questa dichiarazione qui che non lascerebbe adito a dubbi circa la posizione critica della Chiesa di Roma su questa guerra.
Una posizione di condanna contro Israele talmente netta da far esultare gli stessi integralisti islamici, tanto che la televisione degli hezbollah,“Al Manar”, attribuendo queste dichiarazioni direttamente al papa, è arrivata a definire Benedetto XVI "difensore dei diritti dell’uomo e modello di santità"... che detto dagli hezbollah non è che faccia proprio piacere.
La nota della S. Sede “deplora” Israele senza spendere una sola parola sul diritto dello Stato ebraico all’esistenza; diritto minacciato concretamente dal terrorismo e dai propositi di distruzione di leader islamici; parla di “attacco ad una nazione libera e sovrana” dimenticando che se ampie zone del Libano sono fuori dal controllo del governo e nelle mani di milizie integraliste finanziate e armate da potenze straniere e che da quei territori compiono azioni terroristiche e di guerra vuol dire che quella nazione tanto “libera e sovrana” non è. Di fatto Sodano applica la classica equiparazione (che qui acquista ovviamente anche un valore morale), tra attacchi terroristici e reazione militare israeliana, tanto cara alla cultura pacifista e a quella dell’appeasement delle cancellerie europee.

Ma è proprio così? Come si sta disegnando la geopolitica di Benedetto XVI? E’ come dice Alberto Melloni? Questo papa nella sua solitudine ha lasciato solo anche Israele?
La geopolitica è una materia complessa, quella vaticana poi lo è ancora di più poiché l’azione dello Stato della Chiesa nel sistema delle relazioni internazionali, sfugge ai canoni interpretativi delle “normali” nazioni e dei governi. La Chiesa non ha particolari interessi economici, né politici in senso classico. Il concetto stesso di interesse nazionale non appartiene ad un organismo che è cattolico, cioè “universale”, per definizione. Il papa è si capo di uno stato, ma la sua funzione di “governo” s’innesta dentro una dimensione metastorica che deve sforzarsi di inserire gli eventi dentro una dimensione profetica.
Nello stesso tempo però la Chiesa si muove nel mondo con le regole del mondo, ed alcune dinamiche al suo interno sono le stesse che abitano la politica: relazioni, mediazioni, rapporti di forza, componenti e gruppi che si condizionano nell’agire e nelle scelte.

E così la prima osservazione da fare è che il cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato dal 1991, è, ancora oggi, una delle personalità più potenti all’interno della curia romana e rappresenta da sempre quella componente filo-palestinese che caratterizza l’influente corpo diplomatico del Vaticano (Casaroli, Silvestrini), incentrato sul ruolo che la Segreteria di Stato (dentro cui Sodano lavora dal 1959) ha avuto negli ultimi 35 anni grazie al ruolo e al potere conferitogli da Paolo VI in poi; in questi anni la scuola diplomatica della S. Sede ha rispecchiato in pieno (tranne rarissime eccezioni) la linea delle cancellerie europee e soprattutto di quell’Italia cattocomunista che ha fatto del filo-arabismo il leit motiv dei rapporti con il Medio Oriente; insomma, per semplificare, sul Medio Oriente Sodano non la pensa molto diversamente da Andreotti e da Massimo D’Alema. D’altro canto la sua passata amicizia con Yasser Arafat era cosa risaputa e la sua ammirazione per il rais palestinese ha creato in passato non pochi imbarazzi in Vaticano.
Altro aspetto da considerare è che Sodano non è grande amico di Benedetto XVI; anzi, rappresenta quel partito anti-Ratzinger che si è opposto con nettezza alla sua elezione e che ha espresso nei mesi scorsi non pochi ostacoli alle nomine e alla riorganizzazione decisa dal papa tedesco.
Sandro Magister ricorda come già un anno fa, il segretario di Stato, combinò a Ratzinger uno scherzetto niente male quando nell'Angelus del 24 luglio del 2005, preparando la parte del discorso in cui Benedetto XVI doveva esprimere la condanna per la serie di attentati sanguinosi avvenuti in diverse parti del mondo (Egitto, Turchia, Gran Bretagna, Iraq), lasciò esplicitamente fuori Israele che proprio in quei giorni aveva subito l’attentato di Natanya. Una dimenticanza che scatenò le ire di una parte del governo israeliano, fece maturare una crisi diplomatica che rischiò seriamente di riportare le relazioni tra Israele e S. Sede indietro di 30 anni e costrinse all’intervento diretto l’allora premier Ariel Sharon per placare gli animi e ricucire i rapporti.
Che la posizione espressa dalla Segreteria di Stato non sia del tutto condivisa negli ambienti ecclesiastici è stato evidente nei giorni successivi; l’Avvenire (il quotidiano della Cei) ha pubblicato, 5 giorni dopo la nota di Sodano, un editoriale di V.E. Parsi, uno dei maggiori esperti cattolici di relazioni internazionali e di geopolitica, molto ascoltato negli ambienti che contano, in cui si parlava chiaramente delle ragioni di Israele. Ha scritto Parsi: “L'amara realtà è che, nella regione mediorientale, la presenza di Israele è ritenuta "provvisoria", e la garanzia della sopravvivenza dello stato ebraico è riposta – per quanto sia amaro dirlo – nella sua superiorità militare”. Più chiaro di così; e dopo aver denunciato l’assenza e l’inconcludenza della comunità internazionale ha affermato: “Con la sua durissima reazione agli attacchi di Hezbollah, Israele ha voluto provocare deliberatamente il cortocircuito tra le logiche di lungo e di breve periodo, del sistema regionale e del sistema internazionale".
Una valutazione ben diversa dalla semplicistica “rappresaglia militare” data da Sodano.
Ma è soprattutto nell'Angelus del 23 luglio scorso, che Papa Benedetto XVI ha espresso in maniera chiara la diversa impostazione che anima il nuovo corso della Chiesa di Roma. Invitando tutti i cristiani a pregare per la pace ha detto: “Colgo l'occasione per riaffermare il diritto dei libanesi all'integrità e sovranità del loro paese, il diritto degli israeliani a vivere in pace nel loro stato e il diritto dei palestinesi ad avere una patria libera e sovrana”.
Nelle sue parole scompare qualsiasi “deplorazione ad Israele”. Se il diplomatico Sodano parlava di Stati (Libano, Israele), papa Ratzinger parla di popoli (libanesi, israeliani, palestinesi). Non è solo un problema lessicale. Si presenta qui un cambiamento del modo di pensare la Chiesa nel mondo, sia rispetto alle necessità storiche nelle quali si mosse Giovanni Paolo II, sia rispetto alla paludosa diplomazia di Sodano.

Lo spiega con grande lucidità don Baget Bozzo: "Papa Wojtyla sentiva la necessità di impegnare la Chiesa nella storia (…) Benedetto XVI ha chiaramente scelto di concentrare la Chiesa su se stessa, sulla sua vita spirituale e interiore. La Santa Sede prende posizione nei conflitti, ma non diventa parte di essi (…) La stagione conciliare, che sottolineò il ruolo della Chiesa nella storia fino a quasi risolverlo in essa, è ora finito".

La nota diplomatica di Sodano e il discorso del Papa, nella loro completa diversità, testimoniano la tensione oggi esistente nella Chiesa tra il vecchio pragmatismo diplomatico e la necessità di Ratzinger di rimanere ai limiti della politica. Da un punto di vista politico, questa tensione si manifesta nei nuovi equilibri che Ratzinger sta disegnando dentro la Curia romana. Angelo Sodano uscirà di scena a settembre per raggiunti limiti di età. Le sue dimissioni, presentate secondo il Can. 354 del Codice di Diritto Canonico, sono state immediatamente accettate da Benedetto XVI, che al suo posto ha formalizzato la nomina di uno dei suoi più stretti collaboratori, il card.Tarcisio Bertone, personalità estranea agli ambienti diplomatici e teologo particolarmente apprezzato dal Papa.
Non solo, ma proprio nelle relazioni con Israele, papa Benedetto XVI ha mosso importanti pedine nella Curia. Ha spedito Michel Louis Fitzgerald alla nunziatura egiziana, togliendogli quel Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso dove il porporato britannico dialogava amabilmente con personaggi come lo sceicco Youssef Al-Qaradawi.

Ha limitato l’operato di Michel Sabbah, il famoso patriarca latino di Gerusalemme ammiratore dell’intifada, affiancandogli il più giovane arcivescovo di Tunisi Fouad Twal (con posizioni dichiaratamente più filo-occidentali) che lo sostituirà tra due anni, quando anche Sabbah andrà in pensione. E sembra intenzionato a far crescere notevolmente il ruolo di mons. Pizzaballa attuale "Custode di Terra Santa", molto apprezzato dal governo di Gerusalemme.

Queste osservazioni ovviamente non risolvono il problema, né spiegano la complessità di una posizione che è ovviamente difficile per la Chiesa. Difficile per due motivi: innanzitutto perché il Libano è l’unico paese islamico dove i cristiani vivono con diritti riconosciuti e libertà acquisita. Secondo, strettamente legato al primo, perché le minoranze cristiane nei paesi islamici sono continuamente esposte alla persecuzione e al massacro e la loro esistenza è minacciata esattamente come l’esistenza dello stato d’Israele. Joseph Bottum, sul Weekly Standard è quanto mai esplicito quando afferma che per i diplomatici d’oltre Tevere la sproporzione è evidente: “Il sostegno a Israele comporta il rischio che i cristiani nei paesi islamici vengano uccisi; il sostegno agli arabi comporta il rischio, al massimo, di una nota severa dall'ambasciatore israeliano”.
D’altro canto la Chiesa non ha eserciti, non ha potere economico, non può imporre sanzioni né embarghi. La difesa e la tutela delle minoranza cristiane nell’islam è affidata al solo peso morale del Santo Padre, alla sua capacità di mostrarsi imparziale e obiettivo di fronte agli accadimenti della storia ben sapendo che ogni virgola sbagliata, ogni dichiarazione ambigua può generare ripercussioni gravissime nella totale indifferenza della comunità internazionale. Una aspetto questo di realpolitik che non deve essere mai dimenticato.

In realtà Benedetto XVI sa perfettamente che nel rapporto con l’Islam si gioca parte della sopravvivenza della Chiesa; e che questo rapporto non può essere di semplice accondiscendenza. La nuova evangelizzazione dell’Europa, non è solo la lotta al relativismo morale, al nichilismo del postmoderno che spinge a fondo le stanche società occidentali. Ratzinger ha capito che se l’Occidente ripudia l’annuncio cristiano non sarà semplicemente una società atea (più di quanto lo sia adesso laddove Dio è un’eccezione), ma una società vuota... e quel vuoto, morale, religioso, culturale qualcuno lo riempirà dentro i nuovi equilibri sociali e demografici che si stanno disegnando.
Il rischio è che da qui a 50 anni, con la crescita esponenziale della componente islamica, i cristiani diventino minoranze sopportate anche nel vecchio continente.
George Weigel su Commentary si è domandato quanto il secolarismo occidentale stia minando la possibilità di reazione all’aggressione integralista e faccia perdere all’Europa la lotta per definire la natura della società civile, il significato della tolleranza e del pluralismo ed i limiti del multiculturalismo in un’Europa che invecchia
e che rivela una presenza islamica dentro di sé sempre più massiccia.
Ma la Chiesa di Roma conosce anche il dramma di Israele; sa che Israele è un unicum nella storia dei nostri tempi, che va al di là della sua dimensione storica. Ebraismo e Cristianesimo segnano il tempo della nostra civiltà. Sono le fondamenta su cui l’Europa ha fondato la sua modernità. Qualcosa di più di un confine da difendere. Lo sa Benedetto XVI, come lo sappiamo noi: quello spicchio di democrazia nel cuore di un islam sempre più aggressivo e intollerante, va difeso con ogni mezzo perché la sua resa sarebbe anche la resa del mondo libero.

Etichette:

20 luglio 2006

Israele, Guernica e il lamento pacifista…

“Tu indossi una maglietta con il quadro di Picasso, Guernica, perché?” chiede il giornalista di SkyNews alla fanciulla che sfila al corteo pacifista.
Perché la situazione è simile a quella che ha fatto fare Guernica a Picasso: c’è una guerra che distrugge infrastrutture civili, c’è l’attacco alla popolazione civile, c’è uno Stato che si crede al di sopra di qualsiasi legge”. Israele appunto.
Guernica diventa quindi il manifesto della nuova resistenza contro l’imperialismo sionista, il simbolo dell’arroganza di Israele, della sua violenza, del suo disprezzo razzista.
La pacifista, occhiali militanti e sguardo bovino, forse non conosce la storia di Joselito, il famoso torero spagnolo incornato durante una memorabile corrida in cui ci lasciò la pelle. Racconta Vittorio Messori, che Picasso, che amava la tauromachia, ne rimase talmente scosso che dipinse In morte del torero Joselito, una tela di 8 metri per 3, per celebrare degnamente l'eroe ucciso dal toro. Ma era il 1937 e la Spagna bruciava nella guerra civile; ai crimini comunisti si sommavano i crimini nazionalisti, tra questi il bombardamento della città di Guernica da parte dell'aviazione italo-tedesca; in questo clima il governo social-comunista commissionò al buon Pablo una tela per l’Esposizione Universale di Parigi del 1938. E Picasso, vecchio marpione con il cuore a sinistra ed il portafoglio rigorosamente a destra, fiutò l’affare… qualche accorgimento e voilà… la morte di Joselito divenne Guernica, una delle più importanti opere d’arte del ‘900, la denuncia artistica dell’orrore nazifascista, annuncio premonitore del baratro in cui stava cadendo l’Europa, ma soprattutto, negli anni a venire, uno dei simboli di quel pacifismo barricadiero stipendiato dall’internazionalismo sovietico.
Il grande artista ci guadagnò in fama e in soldi, visto che vendette il quadro per 300.000 pesetas di allora (circa 1 milione di euro di oggi) pagati per il governo spagnolo direttamente da Stalin attraverso le casse del Comintern.
Questo racconta Vittorio Messori (qui e qui), storico serio e scrupoloso.
Francamente non so se la storia sia vera, perché quella ufficiale racconta altro: ci sono le foto di Dora Maar, la compagna di Picasso, ai bozzetti di preparazione, ci sono i critici d'arte che interpretano il toro e il cavallo come allegorie, ci sono i biografi uffciali e quelli ufficiosi. Forse, come spesso avviene nella storia, le verità è nel mezzo.
Ma a guardar bene la tela bianca e nera di Picasso non c’è alcun lamento pacifista. Perché quei corpi spezzati sembrano quelli saltati in aria negli autobus di Tel Aviv o nelle piazze di Gerusalemme. Quelle teste urlanti raccontano le grida di orrore di Nick Berg.
Il lamento pacifista non va oltre la retorica; non può, non è in grado di sciogliere i nodi complessi dei tempi che viviamo. Non si pone problemi ma applica certezze. Nel suo equiparare le ragioni di chi si difende dal terrorismo, alle pretese di chi vuole cancellare nazioni e popoli dalla carta geografica allarga la ferita dell'Occidente e la paura di Israele.
Diceva Picasso: "No, la pittura non è fatta per decorare gli appartamenti, è uno strumento di guerra offensivo e difensivo contro il nemico". Appunto.
Se proprio la Guernica di Picasso deve raccontarci qualcosa, ci racconti la speranza, la disperazione, il coraggio di un popolo offeso, aggredito, violentato nella sua libertà e nel suo stesso diritto ad esistere; circondato dall’odio di molti e dall’indifferenza degli altri; un popolo che con onore si sta difendendo dalla violenza integralista e dalla stupidità dei benpensanti.

Etichette:

19 luglio 2006

avviso ai naviganti: squarci di sereno… dentro AN si riparla di politica

Lo confesso, ho temuto il naufragio. Quella maledetta tempesta sembrava non finire più e non è che sia una bella sensazione essere sbattuti qua è là in balia del vento, delle onde, con gli scogli che ti guardano ghignando, mentre l'albero di maestra si spezza come un fuscello. Ci siamo entrati 4 anni fa dentro questa tempesta, mentre navigavamo placidi su un mare in bonaccia. Il problema è che qualcuno a bordo non aveva capito che l'oceano è pericoloso comunque... anche se il cielo è sereno, anzi soprattutto quando è sereno, perché prima o poi una nuvola la incontri; e sempre quel qualcuno non aveva capito che se il mare ti sembra in discesa vuol dire che c'è qualcosa che non va. An si è buttata dentro la stagione di governo così… mollando vele e timone; tutti a ballare sul ponte; tanto c'era rhum in abbondanza… e allora giù a svuotare i barilotti della stiva… roba che se ci fermava la stradale in mezzo all’oceano ci faceva un culo così!
Quattro anni è durata la sbronza di potere che An si è presa. Quattro anni in cui si è rischiato di far affondare la nave tante volte... perché una nave bisogna pur continuare a governarla anche quando sul mare c'è calma piatta. Nessuno si è messo più a guardare le stelle, nessuno a cercare nuove rotte. Tutti a pensare che ormai si potevano raggiungere le Indie senza neanche bisogno di passare per l’America… e pensare che stavolta lo sapevano tutti che lì in mezzo l’America c’era.
Per cui quando il mare si è gonfiato il cielo si è oscurato sono stati cavoli amari.

Ora non voglio illudere nessuno perché un’intervista è solo un’intervista, niente di più… e un documento è solo un documento; ma uno sprazzo di sereno io l’ho visto e qualcuno che ha ricominciato a studiare una rotta c’è. Allora sussurriamocelo all’orecchio senza dirlo troppo in giro per non illudere la ciurma. Sembra… dico sembra eh… che dentro AN si ricominci finalmente a parlare di politica, di grande politica… a pensarla, a gustarla dentro progetti che non siano la semplice gestione tattica... a ridefinire una strategia di largo respiro. Non che ne abbia la certezza sia chiaro, però l’ho letto qui, in questa intervista a Gianfranco Fini e pare che sia tutto vero.
Uno potrebbe dire: “vabbè sono solo slogan!”… beh...almeno ripartiamo da quelli. Ma l’idea di progettare una “convergenza tra cultura nazionale cattolica e socialismo riformista” non è una semplice trovata e al povero Anarca solletica alquanto.
Perché se la sinistra s’inventa la nuova astrazione ideologica del “cittadino consumatore” per provare a burocratizzare le nuove tendenze sociali e creare nuovi blocchi di potere (con quello sindacale in crisi), il rivendicare il valore della persona e della famiglia come centri del diritto e del dovere dentro una societa che riconosca più corpi intermedi e meno Stato è qualcosa di più di una strizzatina d’occhio alle gerarchie vaticane.
Perché se la sinistra accarezza i suoi poteri forti, i grandi potentati finanziari dentro un modello economico di tutela dei privilegi, il riconoscere il valore dell’impresa media e piccola, del suo ruolo produttivo per l’economia ed il tessuto sociale del paese, significa costruire l’identità del nuovo progetto liberale e conservatore di respiro europeo su cui fondare l’inevitabile passaggio al partito unico.
Perché concetti come “modernizzazione inclusiva” e “welfare community” iniziano a dare senso a ciò che uno vorrebbe che fosse una forza politica di destra.
Insomma Fini parla di ciò che in questi anni la destra ha evitato di pensare e dà l’idea che finalmente, forse, la tempesta si sta placando. An sta ricominciando pensare la rotta … se solo ognuno tornasse al proprio posto.
E’ ora di ricominciare a navigare non più a vista… magari iniziando a buttare fuori bordo quei
relitti di parassiti e imbecilli raccolti alla deriva in questi anni di potere.

Immagine: Ludolf Backhuysen, Naufragio sulla Scogliera, 1667

09 luglio 2006

pausa

La foto ritrae l'Anarca da domani... quando su una sperduta isola greca a ridosso della costa anatolica... e per una settimana... senza pc, senza cellulari, senza mazzette dei giornali, senza televisione, senza niente di niente sarà l'uomo più infelice della terra. Come potrà resistere 7 giorni senza tutti voi? Impegni improrogabili lo porteranno lontano ma vi starà vicino con il cuore... forse.
Non disperate e sopratutto non cercate di seguirlo.
Nel frattempo, al colmo della vostra diperazione, siete pregati di non lasciare commenti troppo offensivi approfittando della sua forzata assenza.

Sette giorni passano presto... purtroppo...

06 luglio 2006

Marco Lodoli e la famiglia: quando l’intellettuale illuminato... spegne la luce

Indiretto elogio di un prete e dell’utero spirituale

Uno dice “Marco Lodoli”… e pensa alla cultura impegnata, al pensiero illuminato un po’ decadente certo ma che sa interpretare la modernità, la post-modernità…insomma questo cavolo di tempo che stiamo vivendo. Perchè Marco Lodoli è uno scrittore famoso, di quelli ascoltati che quando parla si fa silenzio in sala. Perché Marco Lodoli ha scritto Snack Bar Budapest… e Tinto Brass ci ha fatto l’unico film non porno tra quelli che ha girato. Perché Marco Lodoli ha vinto due volte il Grizane Cavour che sta alla letteratura come la Parigi-Roubaix sta al ciclismo. Perché Marco Lodoli scrive su Repubblica, mica su Libero o su Il Giornale. Perché Marco Lodoli è uno di quelli che s’intervistano quando c’è da parlare dei giovani, del disagio sociale, delle periferie, delle mode, delle nevrosi, dei jeans bassi, delle crisi generazionali, delle mutande griffate. Perché Marco Lodoli insegna in un istituto superiore…non so se mi spiego: uno scrittore che insegna, cioè scrive e sta coi giovani insomma… chi meglio di lui può capire il tempo che batte alla porta della crisi dell’occidente? Perché Marco Lodoli racconta underground ma odia l’on the road, eppure se tu pensi a lui ti viene in mente lo spot della Vodafone con Muccino e la colonna sonora di Ligabue. E tu che, quando hai letto "La Notte" l’hai trovato una boiata pazzesca, ma non l'hai detto per non farti prendere per il culo dagli amici di sinistra come il solito “ignorantone di destra…degno amico dei tassinari in rivolta”.
Poi ti capita in mano un libello finanziato dalla Regione Lazio sugli incontri di intellettuali famosi in Biblioteca, e lì dentro Marco Lodoli, a proposito della famiglia, dice delle idiozie così idiote, ma così idiote… che quasi quasi non ti vergogni più di puzzare di destra.
“Non mi piacciono le famiglie. Non ho grande interesse per la famiglia. E’ qualcosa che non sento mia. (…) non mi piace identificare la famiglia come un’istituzione essenziale per la vita dell’uomo. Non siamo riusciti ad inventarci nulla di meglio in questi anni se non la famiglia che poi si chiude in casa, con i suoi antifurti, le sue parabole. Tutto quello che mi chiude mi preoccupa. Bisognerebbe ritrovare un rapporto diverso con la società altrimenti si finirà col vivere come gli americani, nelle loro villette a schiera con il barbecue e le macchinette tagliaerba”.
Ora premesso che è meglio vivere in una villetta a schiera con il barbecue che nei loculi di Corviale e nelle celle calorifere dello Zen di Palermo costruiti dagli architetti di sinistra e benedetti dagli intellettuali come Lodoli; perché è in questi posti delle nostre metropoli che il pensiero progressista ha prodotto emarginazione sociale e danni irreparabili disintegrando il tessuto sociale.

Ma il problema e che queste banalità ti fanno vomitare. Che non lo puoi chiamare neanche nichilismo… perché quello era una cosa seria quando lassù sull’Engandina l’amico di Zarathustra aveva provato a incontrare l’uomo nella sua solitudine mascherandola da volontà di potenza. Qui non c’è neanche questo. C’è la banalità venduta a basso costo al supermercato dell’idiozia progressista. Questo qui, il Lodolipensiero (che è poi il pensiero dell’intellighenzia laica occidentale) è semplicemente il niente, il sottovuoto spinto, la resa incondizionata ai modelli dominanti imposti dai media e dai padroni del vapore dei nuovi stili esistenziali sanciti per decreto nelle società pogressiste.
Per fortuna il giorno dopo incontri un po' di pensiero…pensiero profondo, così difficile da trovare tra gli intellettuali di oggi; è il pensiero di un prete… cioè di un teologo, Livio Melina, uno degli sgherri di papa Ratzinger che parla con la lucidità e la ragionevolezza che oggi la cultura laica si sogna. Intervistato su Il Foglio, denuncia il processo di “liquidazione della famiglia” fatta dai media a dai nuovi strumenti del potere, in una società “che non tollera le entità basate sulla stabilità” perché si privilegia “l’atemporaneo che giova al mercato” ; e il paradosso di tutto questo è che è un prete a spiegarci che la famiglia è il centro del sistema relazionale che consente agli uomini di essere protetti, perché “(…) l’individuo privo di consistenza relazionale diventa fragile e potenziale vittima del potere”; che ci ricorda che l’art.29 della Costituzione Italiana, quello che definisce la famiglia “società naturale fondata sul matrimonio” fu voluto da Palmiro Togliatti, per affermare “la precedenza della famiglia come società naturale, rispetto allo Stato”. Che se la Conferenza di Pechino delle Nazioni Unite in duecento pagine non parla mai di madre e se Zapatero ha eliminato pure il termine padre…è il segno di un nuovo potere che per imporsi deve cambiare persino il vocabolario. E’ un prete a dirci che
"ciascuno di noi è se stesso, si ritrova e sa chi è, se pensa alle relazioni costitutive con il padre, la madre, i fratelli, relazioni che segnano la consapevolezza del proprio io"; perché “senza famiglia non può esserci società, è il retroterra umano che ricostruisce l’uomo”. Ciò che S.Tommaso definiva "utero spirituale".
E tu, povero e stupido reazionario, che pensi che certo la famiglia è in crisi, è cambiata
ma che in fondo "padre" e "madre" sono realtà che è meglio non buttar via come ha fatto Zapatero, alla fine tiri un sospiro di sollievo perché in questo occidente in balìa del “niente-pensiero” di Lodoli e dei suoi amici, ci sono ancora i preti con tutto il loro armamentario di sagrestani, parrocchiani, campanari, perpetue… così poco chic e poco radical… ma che difendono ragionevolmente valori che danno ancora un senso a quell'incontro tra persona e comunità dentro le forme di solidarietà naturale e fuori da ogni fuga individualista.
Di Marco Lodoli ci rimane una puntata di Rai Educational in cui parla con i giovani e dice: "Il nostro on the road insensato nella vita occidentale, in cui mettiamo nello zaino o nel carrello del supermercato cose che, alla fine, non ci servono"… come i suoi libri e il suo pensiero, aggiungiamo noi.

Immagine: Mario Sironi, la Famiglia, 1933

Etichette: