21 dicembre 2005

solstizio... la notte del dono.

Stanotte è il 21 dicembre… notte del solstizio… la notte in cui le tenebre fuggono…
ci troveremo come sempre in tanti… confusi tra gli abbracci e i sorrisi di chi non si rivede da molto tempo…
Vecchi e giovani… come un cerchio eterno…
Nuovo sole e nuova luce in attesa che il santo Natale rigeneri l’uomo con l’annuncio della vita.
Stanotte è una notte speciale… per chi la conosce, per chi ne ha assaporato il gusto; sarà una notte speciale per chi ci si avventura per la prima volta.
Un abbraccio a Monets, fratello che ora è a Herat a dare un segno di solidarietà vera a chi soffre, a regalare un po’ di luce a chi non ne ha.
Un abbraccio ai fratelli che non ci sono più e con i quali abbiamo scaldato le molte notti di solstizio. A Poldo e a Mak… presenti… perché la vita è un dono e donarsi è vita… e loro hanno vissuto fino in fondo, donandosi.
E un abbraccio a tutti noi che stanotte, tra un brindisi e una risata, tenderemo l’orecchio ad ascoltare il loro flauto e alzeremo lo sguardo ad osservare l’aquila…
Buon solstizio a tutti.

17 dicembre 2005

immagini che parlano...

Queste immagini parlano... più forte di ogni voce, più a fondo di ogni pensiero. Parlano di donne e di uomini americani... ma potrebbero essere italiani, inglesi, polacchi, australiani...

Queste immagini parlano di speranza...



di amore...


di coraggio...


di dolore...


parlano di gioia...


di orrore e tenerezza...


di preghiera e di amicizia...


di nostalgia...


di sacrificio...


...parlano di tutto ciò che è normale nella vita... ma che dentro una guerra sembra lontano e irreale.

Ora che gli iracheni hanno espresso con un voto il loro desiderio di libertà scoperto come un gusto doloroso e tragico (perché la libertà è sempre un percorso tragico), immagini come queste restituiscono l'unico grazie dovuto a chi tutto ciò ha garantito, costruito, difeso, nell'indifferenza e nell'odio di falsi profeti e cantori di sventura.
All'umile anarca, dal suo spazio irreale, non restano che tre cose:
lanciare il suo diprezzo verso i pacifisti ipocriti che sventolano ancora i loro stracci arcobaleno e le loro bugie al riparo di una libertà che uomini come questi hanno conquistato e difeso per 50 anni;
sperare che l'Iraq libero diventi il simbolo di un orizzonte nuovo che scuota l'Europa dal suo torpore e dal suo egoismo;
raccontare l'orgoglio di appartenere ad un paese, l'Italia, i cui soldati, di questo dono di libertà, sono stati artefici...

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11 dicembre 2005

sessossessione... se la Chiesa dà lezioni di erotismo...

Guido Reni, San Sebastiano L’altro giorno è toccata a Aldo Busi la predica quotidiana contro la Chiesa.
La solita storia dell’ossessione per il sesso… e poi giù storielle di vescovi romani che frequentano saune gay e preti che rimorchiano fanciulli in piazza S. Pietro. Insomma nulla di nuovo sotto il sole dell’anticlericalismo. Ai tempi di D’Annunzio e Marinetti i racconti attorno a frati e a suore avevano più sana gaiezza, quasi una simpatica blasfemia perché non si prendevano sul serio; ma Busi non è D’Annunzio… è solo un 60enne sculettante e decadente che la televisione innalza ad una macchietta del pensiero.
Ora, questa idea assillante dell’ossessione della Chiesa per il sesso sembra un po' datata. E se fosse vero il contrario? Se fosse l’uomo moderno ad essere ossessionato dalla sessualità?… In fondo da quando il signor Freud ha preso fallo e utero e, da lì dove dovrebbero stare, li ha ficcati nel cervello degli uomini e delle donne, qualche problemino si è creato. Insomma, se questa ossessione per il sesso fosse una prerogativa tutta moderna?
Pensandoci bene non c’è alcuna religione al mondo più corporea e carnale del Cristianesimo; più legata così intimamente alla materialità dell’essere umano e alla sua condizione. Il Dio che si fa corpo, carne ed entra nella storia è ciò che scandalizzava gli antichi pagani chiusi nei loro dèi cerebrali; l’aristocratico Celso, sentinella di un mondo che scompariva, ammoniva i cristiani: “Dio non ha né bocca, né voce (…) se scende davvero sulla terra, in mezzo agli uomini, deve subire un mutamento dal bene al male”.
Eppoi questa storia della “resurrezione del corpo” che fece incazzare gli intellettuali ateniesi sull’Areopago quando Paolo la raccontò... e la crocifissione, con quella sofferenza del corpo così puntuale negli Atti degli apostoli, ed il corpo "tempio dello Spirito" (sempre Paolo).

In fin dei conti elementi di sano erotismo il cristianesimo li ha coltivati eccome: nella letteratura antica non esiste nulla di più erotico del Cantico dei Cantici, gioiello della tradizione giudaico-cristiana.
Eppoi l’arte cristiana, così intimamente inserita nei canoni della bellezza fisica, in quella ricerca del piacere visivo che, con il Rinascimento e poi con Caravaggio, raggiunse l’apice. Mishima, che era un omosessuale serio mica come Busi e non era cattolico, racconta che la sua prima eiaculazione la ebbe davanti al bellissimo ed erotico San Sebastiano di Guido Reni: “nell’attimo in cui scorsi il dipinto, tutto il mio essere fremette di una gioia pagana”. Insomma lo shintoista Mishima, dal paese delle geishe, dovette ricercare nella repressiva cultura cristiana il culto della bellezza che nella sua non trovava.
Niente male per una cultura che avrebbe rimosso il piacere, violentato i desideri, ucciso la passione nell'ipocrisia del vietato.
Certo anche i cristiani hanno avuto i loro problemini… Tertulliano, le eresie spiritualiste, i protestanti di vario genere con il loro moralismo sfacciato… ma la Chiesa di Roma ha mantenuto, con alti e bassi, una percezione gradita di un rapporto tra eros e redenzione. Forse ascoltarla ogni tanto servirebbe a recuperare limite e misura di ciò che per noi è divenuta nevrosi.
Jean Bastaire, teologo cattolico, ha scritto: “il godimento non è più consumazione ma giubilo, non si tratta più di un ristagno ma di un’estasi". Insomma, il sesso cristiano è erotismo allo stato puro. Nel VII secolo, Giovanni Climaco, monaco del Sinai, scriveva cose che neanche i libertini del ‘700 si sarebbero sognati: “Beato chi ha per Dio una passione non meno violenta di quella dell’amante per l’amata”… Aldo Busi è servito.

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02 dicembre 2005

lo dico sottovoce...

Luigi CalabresiLo dico sottovoce, ma gli anni ’70 per me sono una ferita ancora aperta. Non per l’età (li ho vissuti di striscio o sulla pelle di qualche amico più grande) ma perché Roma, la mia città, ha ancora un buco di memoria che per quelli che vengono dalla mia storia, dalla parte maledetta, da quella generazione proscritta che neanche von Salomon avrebbe amato, rimane una voragine che ha inghiottito sogni e ragioni. I ragazzi ammazzati, gli amici in galera, le vite distrutte si aggirano come fantasmi nelle piazze e nelle strade di Roma… nelle lapidi sparse di una guerra civile mai digerita e che come un incubo oggi torna a galla… nella violenza dei centri sociali, nella stupidità che ha mandato ieri in ospedale tre ragazzi nel solito, complice silenzio di un Sindaco troppo buono per essere sincero.
Ne parlo spesso degli anni ’70 e non so perché. Forse perché la mia generazione ha vissuto come un senso di colpa il non esserci stata… o forse perché quegli anni mi fanno ancora paura. E la via dedicata a Paolo forse non chiude la parentesi. Ciò che ancora spaventa non è il sangue versato, la morte, il dolore prodotto; è qualcosa di più indefinibile che crea rabbia e sconcerto.
A Primavalle, tre figli della buona borghesia romana decisero di dare fuoco alla povera casa di un netturbino missino con 6 figli. Ne uccisero due, Virgilio e Stefano, lasciandoli abbracciati l’uno all’altro divorati dalle fiamme: avevano 22 e 8 anni. Quando i tre imputati furono assolti, nel processo di primo grado, Alberto Moravia, il grande scrittore, andò a festeggiare a coppe di champagne nella villa di uno di loro a Fregene, insieme a giornalisti e intellettuali. In quel clima assurdo e irreale la rivoluzione avanzava con una tanica di benzina ed una coppa di champagne.
C’era una follia in quegli anni che non si può rimuovere e cancellare solo perché il tempo diventa l’alibi per l’oblio. C’era un’Italia intellettuale, colta, raffinata e borghese che giocò alla rivoluzione addestrandosi sulla pelle dei ragazzi di destra per poi alzare il tiro su poliziotti, magistrati e giornalisti. Un’Italia che non ha neanche avuto il coraggio di prendere una pistola in mano ma che con la penna ha aiutato ad uccidere, rimanendo nascosta nell’ombra. Adriano Sofri, almeno di questa Italia, ne ha fatto parte; anzi ne e’ stato uno dei protagonisti. Non si è limitato a scrivere cazzate…come dice Rocca. Ha fatto qualcosa di più. Ha costruito l’odio. Lo ha costruito lucidamente; ha costruito l’impalcatura che sosteneva la follia di quella generazione, e lo ha fatto con consapevolezza e spietata convinzione.

Oggi Sofri è un altro uomo, inevitabilmente: perché il tempo lacera i profili, leviga come fa il vento con la montagna. Anche Francesca Mambro è un’altra donna. E forse anche Achille Lollo non è ciò che era ieri, se non altro perché ha un figlio che avrà guardato negli occhi qualche volta. Ma memoria e giustizia non appartengono solo alla coscienza individuale, o al dolore e al rimorso di chi sa elaborare; memoria e giustizia appartengono anche alla collettività.
E allora, se c’è solo un dubbio che il processo a Sofri sia stato viziato nella forma o nella sostanza, in difesa di uno straccio di Stato di diritto si riapra il processo, si cerchi la verità (che forse Sofri stesso conosce molto bene). Oppure si conceda la Grazia, anche se non richiesta come atto di clemenza di uno Stato democratico verso una generazione fallita per chiudere una stagione; ma senza scomodare Socrate, ridicolo paragone che confonde l’ingiustizia di un’innocenza certa, con la giustizia di una colpevolezza fino ad oggi accertata. Oppure si renda la sospensione della pena ad un uomo malato, in nome di una pietà necessaria a qualsiasi giustizia.
Ma vi prego smettetela con questa cantilena trasversale che vuole innalzare Adriano Sofri a vittima del sistema. Dei giudici in toga di uno stato democratico hanno condannato Sofri, garantendogli appelli e possibilità di difesa; mentre Sofri da giudice, condannò un uomo innocente senza lasciargli neanche il tempo di capire.

Perché di tutta questa storia di morte, di dolore, di fallimento umano e di pietà c’è solo una vittima: si chiama Luigi Calabresi, ucciso innocente dopo la condanna a morte di un tribunale proletario… di cui Adriano Sofri fu uno dei giudici più zelanti.

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