28 luglio 2010

il pdl e la sindrome di sahaf

di Giampaolo Rossi
Mohammed Said al-Sahaf era il famoso e ridicolo Ministro dell’informazione iracheno ai tempi di Saddam Hussein il quale, mentre gli americani occupavano Baghdad, smantellavano i punti sensibili, disarticolavano la capacità operativa della Guardia Repubblicana e abbattevano le statue del dittatore iracheno, continuava a rilasciare dichiarazioni tranquillizzanti e proclami di vittoria fino a quando un ufficiale dei marines non bussò alla porta del suo ufficio. Fedele esecutore di un copione scritto per sé, continuava imperterrito a rassicurare gli iracheni che gli infedeli erano lontani, mentre gli iracheni abbracciavano gli infedeli per le strade di Baghdad.
Nel Pdl di questi ultimi mesi è avvenuta più o meno la stessa cosa; come un’infezione acuta, un virus, un fungo allucinogeno che ha sviluppato una sindrome di Sahaf, una parte della dirigenza di centrodestra ha continuato a tranquillizzare se stessa sul proprio stato di salute mentre il partito si sgretolava localmente, disarticolava la sua classe dirigente generando le condizioni di una guerra interna che ora rischia di lasciare pochi prigionieri e troppi ostaggi di logiche perverse. Se l’implosione del Pdl non è più una suggestione analitica di qualche politologo da strapazzo o la previsione di un menagramo da editoriali domenicali, c’è da chiedersi cosa abbia prodotto una crisi così violenta da rischiare di assestare un colpo basso e devastante non solo a tutta la stagione di governo berlusconiano, ma anche alla possibilità di costruire nel paese una forza politica radicata a vocazione maggioritaria capace di guidare la transizione verso un nuovo sistema politico.
Nell’eterna tensione tra verità e inganno, la politica corre il suo più grande pericolo nell’auto-inganno, quella strana dinamica che porta l’ingannatore a falsare così nettamente la realtà da rompere con essa qualsiasi contatto e convincersi che è vero ciò lui stesso ha inventato. Fenomeno studiato anche da Hanna Arendt in relazione al comportamento dell’amministrazione Usa in Vietnam, l’auto-inganno in politica si sviluppa nei periodi di dominio assoluto, di forza egemone, quando non esistono pericoli esterni, né minacce organizzate, ma anche nelle fasi acute di conflitto. Può valere per le grandi potenze nella gestione delle relazioni internazionali, così come per i leader e le formazioni politiche nelle dialettiche interne. Quando un dinamica politica acquista la forma dell’auto-inganno il pericolo è quello di un risveglio brusco e troppo doloroso per rialzarsi in piedi.
Ancora qualche giorno fa, in un’intervista al Corriere della Sera, Denis Verdini, uno dei coordinatori dell’innaturale triumvirato che governa il Pdl, ha dichiarato che il partito che si vuole realizzare non è “un partito di stampo ottocentesco, dove ognuno trova le sue piccole nicchie di potere” ma “un partito che crea un rapporto diretto tra il leader, Silvio Berlusconi, e gli elettori”. Idea questa, ripresa dal ministro Brambilla e da altri dirigenti del Pdl in preda alla sindrome di Sahaf.
Ora a quale partito “ottocentesco” Verdini si riferisse non è dato saperlo. Forse, più realisticamente si riferiva ai partiti di massa ideologici che nel ‘900 hanno accompagnato le culture politiche esaurite nella crisi della modernità. Ma è ovvio che non sono i partiti a garantire il rapporto tra leadership ed elettorato perché un leader il rapporto con l’elettorato se lo crea da sé. Semmai, la funzione di un partito dovrebbe essere quella di articolare la complessità sapendo che è sempre più difficile, nella frammentazione dei corpi sociali, intercettare istanze, processi di cambiamento e generare la tanto desiderata nuova classe dirigente di cui questo paese ha dannatamente bisogno. Esattamente ciò che il Pdl non ha saputo fare.
La realtà è che questa idea di partito leggero, dietro la retorica di voler eliminare le nicchie di potere, ha costruito una nomenclatura impermeabile ad ogni forma di condivisione, autoritaria, non comunicativa, che non rappresenta in nulla il leader carismatico e che si configura localmente come una serie di anacronistiche satrapie che si trasformano con grande facilità in comitati d’affari e di interessi di piccole e affamate oligarchie. Qui, inganno e auto-inganno raggiungono l’apice. Un partito lontano dalla politica rischia grosso: e il rischio più grande per il Popolo della Libertà è di rimanere senza popolo. Come è accaduto a Firenze, proprio nella patria politica di Verdini, qualche giorno fa, dove nella sua prima manifestazione contro l’amministrazione di centro-sinistra, il Pdl post-ottocentesco ha portato in piazza 25 persone, costringendo i vertici locali a disertare la manifestazione. Venticinque persone per il più importante partito di governo d’Europa sono qualcosa di peggio di un brusco risveglio. Come per il ministro Sahaf, la dialettica politica tra inganno e auto-inganno rischia di trovare il suo compimento nel ridicolo.
© Il Tempo, 28 Luglio 2010

09 luglio 2010

imbavagliatevi ancora

Strano giorno vero? Senza giornali, senza telegiornali, senza radiogiornali, senza agenzie di stampa, senza blog impegnati, senza siti democratici, senza editoriali, senza news, senza interviste esplosive. E ora? Ma non sentite il vuoto della vostra vita? Questo assordante silenzio che rischia di ovattare la vostra coscienza? Oddio. Ma che paese barbaro è questo in cui non si riesce a sapere più nulla. Massa di trogloditi reazionari e incolti; ma non vi rendete conto di come ci stanno riducendo? Adesso vi accorgete verso cosa stiamo andando incontro eh? Pensate se invece di un solo giorno fossero 10, 100, 300, 365 giorni così. Eh? Ora avete paura vero? Ora che la stampa è imbavagliata e la coscienza democratica del paese ridotta al silenzio, come la mettiamo? Pensate solo per un attimo se riuscireste mai a vivere così, perché così vi vuole lui. Incapaci di pensare, di conoscere, di giudicare, di indignarvi, di scandalizzarvi, di incazzarvi, di vestirvi di viola sfigato, di protestare, di tirare duomi di Milano in faccia al despota. Lui vorrebbe l’Italia così: senza sapere che dice Di Pietro, senza sapere che pensa Ezio Mauro, senza conoscere l’ultimo scoop di Travaglio, senza addolorarsi per le sorti della Busi. Quante verità avete perso oggi? Tante, troppe.
Noi ci siamo immolati per voi, per il paese, per la democrazia. Ci siamo ridotti al silenzio per dimostrarvi il vostro bisogno di rumore, l’essenza di quel sottofondo meccanico che si chiama informazione e che è ormai la forma della vostra esistenza. Come? Siete stati meglio? Ma che dite? Che? Come sarebbe a dire “aho senti che pace”?
Macché niente niente state a pensa’ che è meglio se nun ce lo togliamo più 'sto bavaglio?

07 luglio 2010

Se 5 milioni vi sembran pochi

"Intercettateci tutti!": lo hanno gridato nelle loro piazze violette. Lo hanno scritto sulle magliette. Se lo sono attaccato al collo i pirla di quel sottopartito che si chiama IDV. Lo slogan dei paleantropi dipietristi ha un solo difetto: non è uno slogan. E' quello che già avviene nelle nostra democrazia sotto controllo.
I dati del Ministero, resi noti da Alfonso Papa ex magistrato e deputato del Pdl, nella relazione in Commissione Giustizia della Camera, ci raccontano un Paese alquanto orecchiato. Nel 2009 in Italia ci sono stati circa 120.000 decreti di intercettazione (che in genere racchiudono più di un'utenza telefonica). Considerando che mediamente ogni utenza si collega a trenta, quaranta altre utenze quotidiane, si stimano tra i 4 e i 6 milioni le persone intercettate ogni anno. Quasi il 10% della popolazione italiana è stata registrata nelle sue telefonate private e ascoltata. Non solo, ma poiché le intercettazioni avvengono in maniera automatica, spesso l'intervento di ascolto umano (il famoso brigadiere che molti di noi salutano alla fine di ogni telefonata) interviene solo alla fine del ciclo di intercettazioni. Questo impedisce un controllo effettivo sull'intercettazione. Nelle recenti perquisizioni effettuate in alcune redazioni di giornali, sono state sequestrate intercettazioni ancora non sbrogliate dagli inquirenti. In altre parole, i giornali riescono ad avere le intercettazioni prima ancora che le autorità inquirenti le ascoltino. Niente male. Qui avevamo spiegato perché la legge in difesa della privacy è la nuova linea di confine per la difesa della libertà individuale. Ma 6 milioni di persone ascoltate superano ogni più rosea previsione; ora basta tirare la catena di questo farlocco Stato di diritto e aspettare che lo sciacquone del moralismo giustizialista faccia il suo corso.
Adesso qualcuna delle anime belle della intercettazione libera e della "mai sufficente libertà di stampa" smentisca questi dati, oppure ci dica in quale altra democrazia del mondo avviene una vergogna del genere...