La difesa della privacy
di Giampaolo Rossi
Chi l’ha soprannominata “legge bavaglio” fa solo finta di non sapere che la legge sulle intercettazioni, attualmente in discussione alla Camera, è innanzitutto una legge in difesa della privacy. Una battaglia liberale, fondamentale del nostro tempo. Perché il diritto di ogni cittadino a vedere tutelata la propria vita privata dai media e dai sistemi di controllo e di tracciamento individuale che ormai invadono la nostra esistenza, va ben oltre il tema delle intercettazioni, le polemiche politiche di questi giorni e le strumentalizzazioni di piazza. C’è in ballo qualcosa di più grande. Ci sono da fissare i confini dentro i quali dobbiamo concepire la nostra civiltà giuridica e i nuovi spazi di libertà individuale e collettiva. Per farlo, bisognava partire dal tema delle intercettazioni e dall’uso irresponsabile che in questi anni ne è stato fatto. Questa legge, incompleta, imperfetta, indecisa su alcuni aspetti fondamentali (come per esempio la regolamentazione della rete) cerca comunque di porre un argine alla pazzia mediatico-giudiziaria che ha segnato la storia del paese negli ultimi tempi. E’ fondamentale che il Governo non ceda nemmeno alle insensate pressioni che provengono dall’estero, chiaramente interessate a mantenere l’Italia una “democrazia sotto contollo”.
Il diritto al privato non riguarda una casta di potere che gioca in difesa dei propri privilegi, ma riguarda tutti. L’Italia è la democrazia più intercettata del mondo. Ma il problema non è solo il numero di intercettati del nostro paese, (dieci volte superiore alla Francia e cento agli Stati Uniti), ma la loro esposizione mediatica. Da nessuna parte esiste un mercato delle intercettazioni come quello che esiste in Italia e che lega procure e redazioni di giornali. In nessun paese civile è stato fatto negli anni un uso così violento delle intercettazioni sulla vita delle persone senza che alcun responsabile pagasse. Paradossi per un paese che, oltre alle garanzie costituzionali in difesa della segretezza delle comunicazioni, conosce nel suo ordinamento anche un Codice della Privacy, proprio sulla base del quale i magistrati italiani hanno recentemente condannato alla reclusione alcuni dirigenti di Google. Alfredo Robledo, uno dei giudici di Milano che ha disposto la condanna, ha dichiarato che “in Italia e in Europa la libertà di espressione trova un suo confine nel rispetto dei diritti delle persone, tra i quali spicca quello alla privacy”. Logica affermazione che spiega perché i corvi di piazza che gracchiano sul bavaglio all’informazione dovrebbero zittirsi di fronte all’unica verità imbavagliata: che cioè in Italia un astratto diritto di cronaca conta di più del concreto diritto dei cittadini a vedere rispettata la propria vita e la propria dignità. Chissà perché le regole che valgono per i cittadini italiani e per i dirigenti di Google, non valgono per i giornalisti. E’ ipocrisia appellarsi al dovere di informare, quando sappiamo tutti che pubblicare intercettazioni è innanzitutto un modo, per gli editori, di vendere più copie.
La storia del nostro paese degli ultimi 20 anni è una storia di intercettazioni pubbliche. Non c’è evento politico, sociale, di costume, finanziario, che non sia stato raccontato attraverso di esse. Sono diventate un genere narrativo capace di mettere insieme dialogo e prosa. E ormai, si stanno trasformando anche in un genere televisivo in cui gli attori recitano testi di conversazioni rubate come fossero sceneggiature. Ma questo trasforma il rapporto tra ciò che può essere pubblico e ciò che deve rimanere privato. Un tempo la libertà di una società si misurava dalla quantità di informazioni che circolavano in essa. Più informazioni circolavano, più quella società era libera. Oggi, nell’epoca della grande rete globale interattiva, di internet, dei media pervasivi, la libertà sociale si misura nella capacità di lasciare spazi incontaminati, conservare e difendere quel privato che il sociologo tedesco Sofsky definisce “il primo passo per la salvezza della libertà”.
Quando la sensazione di essere intercettai è ormai sensibilità comune dei cittadini, nelle battute tra amici, nelle telefonate di lavoro, e si trasforma nella passiva accettazione di una condizione psicologica in cui il parlare al telefono è percepito come naturale privazione della propria libertà personale; quando i media democratici diventano lo strumento di negazione dell’integrità individuale, allora vuol dire che si sta scivolando verso una limitazione della libertà. Questa è la vera crisi della democrazia.
Il diritto al privato non riguarda una casta di potere che gioca in difesa dei propri privilegi, ma riguarda tutti. L’Italia è la democrazia più intercettata del mondo. Ma il problema non è solo il numero di intercettati del nostro paese, (dieci volte superiore alla Francia e cento agli Stati Uniti), ma la loro esposizione mediatica. Da nessuna parte esiste un mercato delle intercettazioni come quello che esiste in Italia e che lega procure e redazioni di giornali. In nessun paese civile è stato fatto negli anni un uso così violento delle intercettazioni sulla vita delle persone senza che alcun responsabile pagasse. Paradossi per un paese che, oltre alle garanzie costituzionali in difesa della segretezza delle comunicazioni, conosce nel suo ordinamento anche un Codice della Privacy, proprio sulla base del quale i magistrati italiani hanno recentemente condannato alla reclusione alcuni dirigenti di Google. Alfredo Robledo, uno dei giudici di Milano che ha disposto la condanna, ha dichiarato che “in Italia e in Europa la libertà di espressione trova un suo confine nel rispetto dei diritti delle persone, tra i quali spicca quello alla privacy”. Logica affermazione che spiega perché i corvi di piazza che gracchiano sul bavaglio all’informazione dovrebbero zittirsi di fronte all’unica verità imbavagliata: che cioè in Italia un astratto diritto di cronaca conta di più del concreto diritto dei cittadini a vedere rispettata la propria vita e la propria dignità. Chissà perché le regole che valgono per i cittadini italiani e per i dirigenti di Google, non valgono per i giornalisti. E’ ipocrisia appellarsi al dovere di informare, quando sappiamo tutti che pubblicare intercettazioni è innanzitutto un modo, per gli editori, di vendere più copie.
La storia del nostro paese degli ultimi 20 anni è una storia di intercettazioni pubbliche. Non c’è evento politico, sociale, di costume, finanziario, che non sia stato raccontato attraverso di esse. Sono diventate un genere narrativo capace di mettere insieme dialogo e prosa. E ormai, si stanno trasformando anche in un genere televisivo in cui gli attori recitano testi di conversazioni rubate come fossero sceneggiature. Ma questo trasforma il rapporto tra ciò che può essere pubblico e ciò che deve rimanere privato. Un tempo la libertà di una società si misurava dalla quantità di informazioni che circolavano in essa. Più informazioni circolavano, più quella società era libera. Oggi, nell’epoca della grande rete globale interattiva, di internet, dei media pervasivi, la libertà sociale si misura nella capacità di lasciare spazi incontaminati, conservare e difendere quel privato che il sociologo tedesco Sofsky definisce “il primo passo per la salvezza della libertà”.
Quando la sensazione di essere intercettai è ormai sensibilità comune dei cittadini, nelle battute tra amici, nelle telefonate di lavoro, e si trasforma nella passiva accettazione di una condizione psicologica in cui il parlare al telefono è percepito come naturale privazione della propria libertà personale; quando i media democratici diventano lo strumento di negazione dell’integrità individuale, allora vuol dire che si sta scivolando verso una limitazione della libertà. Questa è la vera crisi della democrazia.
© Il Tempo, 22 Giugno 2010
8 Comments:
solita analisi puntuale e precisa. Ottimo Martin
Clou
concordo.. Il numero delle intercettazioni è un problema, ma lo è ancor di più la gogna mediatica -troppo spesso priva di riscontri- cui vengono esposte le persone: distruggere la vita delle persone, i loro affetti ed amicizie, esporli al pubblico ludibrio per poi scoprire che non c'entravano niente e manco chiedere scusa è diritto di cronaca? ma dov'è il senso del limite?
I grandi scrittori del Novecento che come Orwell, Huxley e Jünger, si sono esercitati a immaginare futuri "distopici", li hanno sempre pensati anche "dispotici" (scusa il gioco di parole). La realtà di oggi sembra superare le loro cupe previsioni, se è vero che l'invasione sistematica della privacy è praticata in Italia come e più che nelle più aspre dittature, ed entusiasticamente sostenuta dall'opinione pubblica "libera e democratica" al grido di "Intercettateci tutti!" Paradossalmente, la bandiera della libertà è rimasta in mano ai conservatori...
Forse bisognerebbe chiedersi perché si avverta un diffuso "bisogno" di intercettazioni. Allora potrebbero emergere lo sconforto e il disincanto nei confronti di una classe politica corrotta, collusa con la mafia, che per telefono manovra, specula, raggira, segnala raccomandazioni, ordisce trame occulte e impartisce ordini criminali. Questi sono dati di fatto, perché se è vero che alcune intercettazioni sono servite per la cosiddetta "gogna mediatica", è altrettanto vero che la maggior parte ha rivelato il magma corrosivo che pervade la nostra società. Sukran
Niente di nuovo sotto il sole: la curiosità morbosa del pubblico verso le conversazioni private dei potenti non è sorprendente, Sukran, né è essenzialmente diversa dall'istinto che ci fa sbirciare le riviste pruriginose dal barbiere. A riprova del fatto, potrei citare l'immenso successo del gossip su politici, reali e miliardari in altri Paesi in cui la classe dirigente non è certo corrotta come quella italiana. L'eccezione italiana consiste nel fatto che l'invasione della privacy è praticata da potenti funzionari dello Stato, non da insinuanti paparazzi, e che si può finire in galera per una frase detta al telefono. Forse per questo la situazione italiana appare più minacciosa a un "anarca"...
a un anarca nulla appare più minaccioso del più terribile di tutti i mostri: il Forestaro che invade gli ultimi giardini...
Mai letta prima una riflessione più bella, più azzeccata e più condivisibile di questa sul tema del diritto alla privacy.
Tutti i miei complimenti a Martin: è davvero un ottimo intervento!
Hola a todos da un giornalista emigrato a Madrid. In Spagna in questi giorni si parla molto di diritto alla privacy a causa di un incidente molto particolare...date un'occhiata!
http://www.occhiopidocchio.info/societa-politica-spagna/ci-fai-o-ci-sei/
Saludos
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