Se l'America rischia di "chiudere"
Immaginate un Paese, una grande nazione moderna, il cui Governo inizia una corsa contro il tempo per evitare che 800.000 dipendenti statali rimangano senza stipendio; o che i soldati impegnati nelle missioni di guerra non ricevano la paga; o che i prestiti pubblici per le piccole e medie imprese vengano improvvisamente sospesi; o che migliaia di documenti d’identità (passaporti, visti) non vengano più rilasciati; o che i concorsi pubblici o le assunzioni già definite vengano annullate. Quale Paese vi immaginate possa correre un rischio del genere? L’Egitto, la Tunisia o la Libia sconvolte da rivoluzioni e guerre civili? La Grecia già in bancarotta? Il Portogallo sotto tiro delle agenzie di rating internazionale? O magari la solita Italietta delle finanziarie capestro? Nessuno di questi. Il Paese che rischia questa paralisi è, niente di meno, che l’America di Barak Obama. E non è uno scherzo.
Tecnicamente si chiama “shutdown”, letteralmente vuol dire “arresto”. Ciò che rischiano gli Stati Uniti nelle prossime ore è il blocco di molti servizi pubblici e delle attività governative nel caso in cui non venisse approvato il bilancio federale 2011 da parte del Parlamento. Ed è il primo risultato del conflitto inevitabile tra Obama e John Boehner, il Presidente della Camera a maggioranza repubblicana. In ballo ci sono circa 7 mila miliardi di dollari che la destra vorrebbe ulteriormente tagliare su un piano decennale di spesa che il Governo aveva fissato a circa 46 mila miliardi. La questione non è di poco conto, perché rischia di creare un problema drammatico alla vita del paese e di paralizzarlo.
In realtà non sarebbe la prima volta che l’America conosce uno shutdown. Il più recente e clamoroso fu quello del 1995 con una situazione politica del tutto simile a quella attuale: un Presidente democratico, Bill Clinton, e un Congresso a maggioranza repubblicana, presieduto da Newt Gingrich, oggi uno dei maggiori oppositori di Obama. Lo shutdown avvenne quando, di fronte al rifiuto di Clinton di aumentare i tagli su sanità, servizi sociali e ambiente, i repubblicani di Gingrich votarono contro l’aumento del limite di debito del Tesoro, necessario per governare il paese in fase di deficit. Dopo un primo arresto di 6 giorni, lo shutdown si riverificò per 15 giorni tra fine Dicembre 1995 e inizi Gennaio 1996. I giudizi politici sugli effetti di questa decisione sono controversi e animano tuttora il dibattito americano. Per molti, fu proprio l’ostinazione repubblicana a consentire la rielezione dello stesso Bill Clinton pochi mesi dopo. Qualche giorno fa, però, sul Washington Post, lo stesso Gingrich ha rivendicato i meriti della sua battaglia politica, che avrebbe portato alla più grande diminuzione di spesa pubblica dal 1969, rafforzando il servizio sanitario nazionale e consentendo, da lì a breve, il primo taglio di tasse dopo 16 anni.
Oggi la situazione sembra più fluida. Governo e opposizione hanno 24 ore per scongiurare questo evento, che, secondo un sondaggio trasmesso dalla Cnn, il 60% degli americani non vuole. Come sottolinea il New York Times, attorno al rischio di shutdown, il destino di Obama si intreccia con quello del suo rivale Boehner, che nel ’96 era il giovane assistente di Gingrich. Obama si gioca in patria la credibilità di presidente pragmatico che sta perdendo in politica estera; Boehner, si gioca la leadership dentro il Partito Repubblicano, come mediatore tra l’anima più tradizionale e il radicalismo movimentista del Tea Party.
In realtà non sarebbe la prima volta che l’America conosce uno shutdown. Il più recente e clamoroso fu quello del 1995 con una situazione politica del tutto simile a quella attuale: un Presidente democratico, Bill Clinton, e un Congresso a maggioranza repubblicana, presieduto da Newt Gingrich, oggi uno dei maggiori oppositori di Obama. Lo shutdown avvenne quando, di fronte al rifiuto di Clinton di aumentare i tagli su sanità, servizi sociali e ambiente, i repubblicani di Gingrich votarono contro l’aumento del limite di debito del Tesoro, necessario per governare il paese in fase di deficit. Dopo un primo arresto di 6 giorni, lo shutdown si riverificò per 15 giorni tra fine Dicembre 1995 e inizi Gennaio 1996. I giudizi politici sugli effetti di questa decisione sono controversi e animano tuttora il dibattito americano. Per molti, fu proprio l’ostinazione repubblicana a consentire la rielezione dello stesso Bill Clinton pochi mesi dopo. Qualche giorno fa, però, sul Washington Post, lo stesso Gingrich ha rivendicato i meriti della sua battaglia politica, che avrebbe portato alla più grande diminuzione di spesa pubblica dal 1969, rafforzando il servizio sanitario nazionale e consentendo, da lì a breve, il primo taglio di tasse dopo 16 anni.
Oggi la situazione sembra più fluida. Governo e opposizione hanno 24 ore per scongiurare questo evento, che, secondo un sondaggio trasmesso dalla Cnn, il 60% degli americani non vuole. Come sottolinea il New York Times, attorno al rischio di shutdown, il destino di Obama si intreccia con quello del suo rivale Boehner, che nel ’96 era il giovane assistente di Gingrich. Obama si gioca in patria la credibilità di presidente pragmatico che sta perdendo in politica estera; Boehner, si gioca la leadership dentro il Partito Repubblicano, come mediatore tra l’anima più tradizionale e il radicalismo movimentista del Tea Party.
In attesa di capire se da qui a qualche ora l’America sarà costretta a fermarsi, chiudendo musei, parchi pubblici o bloccando i rimborsi fiscali, si prova a fare i conti su quello che potrebbe succedere. Solo nella città di Washington, il blocco di tutti i servizi pubblici potrebbe comportare una perdita compresa tra il milione e mezzo e i cinque milioni di dollari la settimana.
Certo che all’inizio della nuova campagna elettorale per le presidenziali del 2012 il clima politico americano s’infiamma. Vincent Gray, il sindaco della capitale americana ha avvertito che in caso di shutdown la pulizia delle strade e la raccolta dei rifiuti verrebbero sospese. Chissà se il rischio di vedere Washington come Napoli o la Statua della Libertà con il cartello “closed for shutdown” danneggerà più Obama o i repubblicani.
© Il Tempo, 8 Aprile 2011
Certo che all’inizio della nuova campagna elettorale per le presidenziali del 2012 il clima politico americano s’infiamma. Vincent Gray, il sindaco della capitale americana ha avvertito che in caso di shutdown la pulizia delle strade e la raccolta dei rifiuti verrebbero sospese. Chissà se il rischio di vedere Washington come Napoli o la Statua della Libertà con il cartello “closed for shutdown” danneggerà più Obama o i repubblicani.
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