Interesse nazionale
di Giampaolo Rossi
La politica estera di uno Stato si basa sul principio dell’interesse nazionale. Esso traduce, in epoca moderna, il concetto di “utile” che fin dai tempi antichi Tucidide vedeva contrapposto all’idea astratta del “giusto”. A ben vedere, il complesso sistema delle relazioni internazionali si regge su una costante tensione tra l’affermazione di ciò che è utile per uno Stato e la legittimazione di ciò che è giusto. Quando i due principi (utilità e giustizia) non riescono a coincidere, uno Stato farà prevalere inevitabilmente ciò che per sé è utile e non ciò che è giusto. Di questo aspetto bisogna tenere conto quando si analizzano le situazioni di crisi e le ragioni dei conflitti, evitando di cadere nell’utopia irresponsabile e arcobaleno di pacifismi e umanitarismi vari.
Nell’epoca moderna, con gli stati nazionali divenuti la base degli equilibri geopolitici, l’utile è stato identificato con l’interesse nazionale. Esso continua a valere anche nei contesti in cui uno Stato è integrato dentro un sistema di alleanze e coalizioni. Non esistono obblighi internazionali che possano contrastare con il principio fondamentale della propria sicurezza (cioè dell’interesse), pena la necessità di svincolarsi da quell’obbligo. E’ ciò che ha fatto qualche giorno fa la Germania decidendo di ritirare la propria Marina dalle operazioni Nato nel Mediterraneo contro la Libia, o quello che fece la Spagna di Zapatero in Iraq, nell’ambito della missione Onu.
Per anni, nel nostro paese, il principio di “interesse nazionale” è stato relegato ad aspetto marginale di una politica estera inesistente e adagiata sulle scelte strategiche statunitensi. Il motivo era chiaro: usciti in maniera disastrosa dall’ultimo conflitto mondiale, incastrati nella logica di Yalta che ha fatto per quarant’anni dell’Europa una comparsa delle dinamiche bipolari tra Usa e Urss, condizionati da una dominante ideologia cattocomunista imbevuta di internazionalismo e pacifismo, abbiamo pensato che la nostra politica estera fosse elemento secondario perché non ritenevamo indispensabile una sovranità e una identità nazionale forte. Tanto avevamo chi ci difendeva e ci forniva energia, e questo bastava. Eppure dopo l’intervento militare in Kossovo, l’Italia ha recuperato un ruolo internazionale e la capacità, seppure ancora embrionale, di ripensare la propria posizione nel mondo, anche nell’ottica della tutela dei propri interessi vitali e strategici. La contrapposizione con un forte fronte interno pacifista ha rallentato il recupero del nostro senso storico, ma oggi è indubbio che l’Italia è un soggetto credibile grazie all’impegno militare nelle missioni di pace e nella lotta al terrorismo e grazie alla strategia di diplomazia economica imposta in questi anni da Berlusconi. La recente rivelazione dell’ex Segretario di Stato americano Donald Rumsfield, che fu Berlusconi a convincere Gheddafi ad abbandonare i progetti di sviluppo nucleare iniziati dalla Libia, conferma il ruolo di centralità e di mediazione che il nostro Paese ha avuto negli equilibri internazionali, e soprattutto il peso e l’influenza su quest’area geografica.
La crisi libica ha però aperto una falla in questo percorso. Subita e non prevista nei suoi immediati sviluppi, ha trovato distratti un po’ tutti. Dopo una fase iniziale stentata e improvvisata in cui gli eventi sono stati colpevolmente ignorati, il governo italiano ha messo a segno un successo diplomatico importante: l’imposizione della Nato nelle operazioni militari. Ma ora, sembra confuso attorno alla questione centrale che si svilupperà nei prossimi giorni, e già preannunciata da Hillary Clinton e da Sarkozy; e cioè il fatto che l’intervento militare non si limiterà solo alla garanzia della no-fly zone imposta dall’Onu, ma proverà a determinare la caduta di Gheddafi. In quest’ottica, è nei nostri interessi nazionali che ciò accada? Se sì, l’Italia deve accelerare il processo di individuazione e accreditamento dei nuovi interlocutori; sennò, deve spingere per mantenere l’intervento nei limiti della risoluzione Onu, e, in caso contrario, operare una scelta di rottura rispetto all’arroganza francese e ai tentennamenti americani, ricordando che non c’è obbligo di coalizione che possa imporre all’Italia di andare contro i propri interessi. La definizione dell’obiettivo politico è il risultato di ciò che si è individuato come “interesse nazionale”. In altre parole, ciò che è più utile per noi.
Nell’epoca moderna, con gli stati nazionali divenuti la base degli equilibri geopolitici, l’utile è stato identificato con l’interesse nazionale. Esso continua a valere anche nei contesti in cui uno Stato è integrato dentro un sistema di alleanze e coalizioni. Non esistono obblighi internazionali che possano contrastare con il principio fondamentale della propria sicurezza (cioè dell’interesse), pena la necessità di svincolarsi da quell’obbligo. E’ ciò che ha fatto qualche giorno fa la Germania decidendo di ritirare la propria Marina dalle operazioni Nato nel Mediterraneo contro la Libia, o quello che fece la Spagna di Zapatero in Iraq, nell’ambito della missione Onu.
Per anni, nel nostro paese, il principio di “interesse nazionale” è stato relegato ad aspetto marginale di una politica estera inesistente e adagiata sulle scelte strategiche statunitensi. Il motivo era chiaro: usciti in maniera disastrosa dall’ultimo conflitto mondiale, incastrati nella logica di Yalta che ha fatto per quarant’anni dell’Europa una comparsa delle dinamiche bipolari tra Usa e Urss, condizionati da una dominante ideologia cattocomunista imbevuta di internazionalismo e pacifismo, abbiamo pensato che la nostra politica estera fosse elemento secondario perché non ritenevamo indispensabile una sovranità e una identità nazionale forte. Tanto avevamo chi ci difendeva e ci forniva energia, e questo bastava. Eppure dopo l’intervento militare in Kossovo, l’Italia ha recuperato un ruolo internazionale e la capacità, seppure ancora embrionale, di ripensare la propria posizione nel mondo, anche nell’ottica della tutela dei propri interessi vitali e strategici. La contrapposizione con un forte fronte interno pacifista ha rallentato il recupero del nostro senso storico, ma oggi è indubbio che l’Italia è un soggetto credibile grazie all’impegno militare nelle missioni di pace e nella lotta al terrorismo e grazie alla strategia di diplomazia economica imposta in questi anni da Berlusconi. La recente rivelazione dell’ex Segretario di Stato americano Donald Rumsfield, che fu Berlusconi a convincere Gheddafi ad abbandonare i progetti di sviluppo nucleare iniziati dalla Libia, conferma il ruolo di centralità e di mediazione che il nostro Paese ha avuto negli equilibri internazionali, e soprattutto il peso e l’influenza su quest’area geografica.
La crisi libica ha però aperto una falla in questo percorso. Subita e non prevista nei suoi immediati sviluppi, ha trovato distratti un po’ tutti. Dopo una fase iniziale stentata e improvvisata in cui gli eventi sono stati colpevolmente ignorati, il governo italiano ha messo a segno un successo diplomatico importante: l’imposizione della Nato nelle operazioni militari. Ma ora, sembra confuso attorno alla questione centrale che si svilupperà nei prossimi giorni, e già preannunciata da Hillary Clinton e da Sarkozy; e cioè il fatto che l’intervento militare non si limiterà solo alla garanzia della no-fly zone imposta dall’Onu, ma proverà a determinare la caduta di Gheddafi. In quest’ottica, è nei nostri interessi nazionali che ciò accada? Se sì, l’Italia deve accelerare il processo di individuazione e accreditamento dei nuovi interlocutori; sennò, deve spingere per mantenere l’intervento nei limiti della risoluzione Onu, e, in caso contrario, operare una scelta di rottura rispetto all’arroganza francese e ai tentennamenti americani, ricordando che non c’è obbligo di coalizione che possa imporre all’Italia di andare contro i propri interessi. La definizione dell’obiettivo politico è il risultato di ciò che si è individuato come “interesse nazionale”. In altre parole, ciò che è più utile per noi.
© Il Tempo, 25 Marzo 2011
Immagine: Lawrence Alma-Tadema, Un Imperatore romano nel 41 d.C., 1871
6 Comments:
"il fatto che l’intervento militare non si limiterà solo alla garanzia della no-fly zone imposta dall’Onu, ma proverà a determinare la caduta di Gheddafi. In quest’ottica, è nei nostri interessi nazionali che ciò accada?" Assolutamente sì: http://jimmomo.blogspot.com/2011/03/arginiamo-parigi-ma-cacciamo-gheddafi.html
ciao
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
l'unico nel governo con un respiro internazionale è Berlusconi ma ultimamente è ,per usare un eufemismo,"distratto" da altri problemi ...
Meriterebbe una riflessione il fatto che l'Occidente e, in particolare, l'Europa non sia disposta ad assumersi i costi, soprattutto umani, della difesa dei propri principi; non è quindi il problema della dicotomia, solo apparente, tra utile e giusto, ma il fatto che non si sia disposti a spendere nulla di più delle parole per difendere proprio il "giusto".
E tutti i distinguo volti all'impossibile ma ineludibile tentazione di graduare il giusto (che senso ha parlare di PIU' giusto o MENO giusto: se è giusto lo è o non lo è), il dipingere la pace come un valore assoluto e non come uno stato, rischiano di essere(o forse sono?) solo l'estremo alibi della vigliaccheria di chi, con la pancia piena, è disposto a qualunque mercimonio pur di conservarla tale...
Quando il giusto appare astratto a vantaggio dell'apologia dell'utile, cio' che resta minato e' l'etica.
Suaver
ما حكم التجارة في العملات الرقمية في العراق حالياً
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