la democrazia astratta dei magistrati

di Giampaolo Rossi
Chissà se Ilda Boccassini conosce, Vassilij Kandinskij, il grande pittore russo che all’inizio del ‘900 fu tra i fondatori della pittura astrattista. Forse si, perché i magistrati milanesi che da 20 anni stanno ridipingendo lo Stato di diritto di questo paese sono uomini e donne di grande cultura e raffinata conoscenza. Ma cosa c’entra un pittore moscovita, spiritualista, innovatore del linguaggio pittorico, con una signora napoletana sessantenne, magistrato di lungo corso, che dal ‘94 vive nell’ossessione di sbattere in galera Silvio Berlusconi? Ora ve lo spiego.
Nel 1912 Kandinskij scrisse un saggio dal titolo “Elementi spirituali dell’arte”, nel quale teorizzava una pittura che cogliesse l’interiorità svincolata dalla materia e dalla realtà; "quanto più questo mondo diventa spaventoso -scriveva Kandinskij- tanto più l’arte diventa astratta, mentre un mondo felice crea un’arte realistica". Il suo ragionamento in fondo era semplice: siccome il mondo moderno, con il suo materialismo e la sua disperazione, fa schifo, non ha più senso che l’arte cerchi di riprodurlo. Anzi, occorre che l’arte si svincoli dalla realtà. Solo così, attraverso un’arte astratta, sarà possibile attuare un risveglio spirituale. Bene, la Boccassini e i suoi compañeros togati pensano più o meno la stessa cosa: siccome la nostra democrazia parlamentare fa schifo (visto che il popolo bue continua a votare Berlusconi) bisogna costruirne un’altra, astratta, che si liberi dalla volontà popolare e si regga sul governo di pochi, integerrimi e illuminati.
Nel 1912 Kandinskij scrisse un saggio dal titolo “Elementi spirituali dell’arte”, nel quale teorizzava una pittura che cogliesse l’interiorità svincolata dalla materia e dalla realtà; "quanto più questo mondo diventa spaventoso -scriveva Kandinskij- tanto più l’arte diventa astratta, mentre un mondo felice crea un’arte realistica". Il suo ragionamento in fondo era semplice: siccome il mondo moderno, con il suo materialismo e la sua disperazione, fa schifo, non ha più senso che l’arte cerchi di riprodurlo. Anzi, occorre che l’arte si svincoli dalla realtà. Solo così, attraverso un’arte astratta, sarà possibile attuare un risveglio spirituale. Bene, la Boccassini e i suoi compañeros togati pensano più o meno la stessa cosa: siccome la nostra democrazia parlamentare fa schifo (visto che il popolo bue continua a votare Berlusconi) bisogna costruirne un’altra, astratta, che si liberi dalla volontà popolare e si regga sul governo di pochi, integerrimi e illuminati.
Ma i paralleli non finiscono qui: Kandinskij, per realizzare la pittura astratta, partì dal principio dell’autonomia del colore e lo svincolò dall’altro elemento della raffigurazione, la forma; a tal punto che la forma non era più in equilibrio con il colore ma era il colore a prevalere sulla forma. La Boccassini, i pm di Milano e il loro braccio armato dell’Anm, da anni fanno più o meno la stessa cosa. Per realizzare la democrazia astratta, svincolata da quella reale, prendono il dettato costituzionale dell’autonomia della magistratura e lo separano dall’intero contesto. Con buona pace di Montesquieu e dei principi del liberalismo, la separazione dei poteri non è più un modo per bilanciarli tra loro, bensì una via per sganciare da qualsiasi controllo e limite uno di questi: quello della magistratura, appunto. Il potere legislativo e quello esecutivo (cioè la politica), all’interno dei quali risiede la sovranità popolare, al pari delle forme di Kandinskij, diventano un abbozzo, una figura stilizzata, linee di puro contenimento.
Il processo, una volta avviato, diventa inarrestabile: Kandinskij stravolse le regole della pittura, così come questi magistrati stanno stravolgendo le regole dello Stato di diritto. Se l’arte non ha più bisogno della bellezza, la giustizia non ha più bisogno della verità. L’arte diventa pulsione interiore dell’artista, la giustizia diventa ossessione individuale del magistrato. L’artista non deve più essere ispirato dalla realtà oggettiva ma da ipotesi, “impressioni della natura interiore”, così come il magistrato non deve più perseguire un reato ma costruire un’ipotesi di questo. Il risultato è parallelo: i quadri di Kandinskij prendono il nome di “Composizioni”, “Improvvisazioni”, i procedimenti della Boccassini diventano “Teoremi”. Stessa costruzione artificiale. Se l’arte di Kandinskij rende pubblica la tensione individuale e soggettiva dell’artista, la giustizia della Boccassini rende pubblica la vita individuale degli indagati (e non solo). Perché in questa democrazia astratta, il diritto è solo un eccesso stilistico; deve scomparire, come con Kandinskij sono scomparsi i linguaggi formali (prospettive, proporzioni) che la pittura aveva sviluppato nei secoli. La Repubblica dei magistrati non ha bisogno di questi stilemi: presunzione di innocenza, diritto individuale, tutela della privacy, garanzie costituzionali, civiltà giuridica, sono legacci che limitano la sete di pura giustizia.
Ciò che ai tempi di Kandinskij nessuno comprese erano le conseguenze che avrebbe determinato il percorso iniziato: la messa in crisi del significato stesso dell’arte. Quando pochi anni dopo Marcel Duchamp prese un orinatoio e lo definì un’opera d’arte, il cerchio si chiuse. Tutto è arte quindi nulla lo è. Ciò che oggi in pochi vogliono vedere, sono le conseguenze che un uso simile della giustizia avrà nel nostro paese, terminata la caccia all’uomo contro Silvio Berlusconi. Se la democrazia astratta dei magistrati dovesse vincere, i capisaldi della civiltà del diritto in Italia verrebbero meno. Se è democrazia pubblicare sui giornali numeri privati e colloqui personali, violare il segreto istruttorio, perseguitare cittadini, allora tutto è democrazia. Quindi nulla lo è.
A proposito, sarà solo un’insignificante coincidenza, ma anche Kandinskij, come la Boccassini, era laureato in Legge.
© Il Tempo, 21 Gennaio 2011
Immagine:Vasillij Kandinskij, Composizione 8, 1916
Ciò che ai tempi di Kandinskij nessuno comprese erano le conseguenze che avrebbe determinato il percorso iniziato: la messa in crisi del significato stesso dell’arte. Quando pochi anni dopo Marcel Duchamp prese un orinatoio e lo definì un’opera d’arte, il cerchio si chiuse. Tutto è arte quindi nulla lo è. Ciò che oggi in pochi vogliono vedere, sono le conseguenze che un uso simile della giustizia avrà nel nostro paese, terminata la caccia all’uomo contro Silvio Berlusconi. Se la democrazia astratta dei magistrati dovesse vincere, i capisaldi della civiltà del diritto in Italia verrebbero meno. Se è democrazia pubblicare sui giornali numeri privati e colloqui personali, violare il segreto istruttorio, perseguitare cittadini, allora tutto è democrazia. Quindi nulla lo è.
A proposito, sarà solo un’insignificante coincidenza, ma anche Kandinskij, come la Boccassini, era laureato in Legge.
© Il Tempo, 21 Gennaio 2011
Immagine:Vasillij Kandinskij, Composizione 8, 1916
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