Nulla di nuovo. Wikileaks c'era già nel '700
di Giampaolo Rossi
Esisteva una Wikileaks anche nella Parigi della metà del XVIII secolo. Non un luogo virtuale su una rete interattiva globale, ma uno spazio fisico, definito e localizzato. Questa Wikileaks del 1700 era nient’altro che un grande castagno, chiamato “Albero di Cracovia”, situato all’interno dei giardini del Palazzo Reale di Luigi XV; sotto le sue fronde, quotidianamente, si raccoglieva un’umanità varia fatta di servitori di palazzo, dignitari e agenti stranieri inviati da diplomatici, per ascoltare i nouvellistes de bouche, i gazzettini umani che raccontavano informazioni ricevute da fonti più o meno anonime all’interno dei corridoi o nelle stanze di Versailles. Informazioni e indiscrezioni che divenivano pettegolezzo ma anche materia di valutazione politica e condizionamento delle scelte del potere. Da sotto l’albero le notizie si propagavano poi per tutta Parigi e oltre la Francia, sotto forma di dispacci e rapporti diplomatici, ma anche sotto forma di divulgazione popolare attorno alla quale intrecciare una produzione impressionante fatta di notizie manoscritte che circolavano nei salotti, notizie a stampa pubblicate nei rari giornali che sfuggivano al controllo censorio, canzoni, filastrocche, storielle che spesso ridicolizzavano la monarchia. Insomma, niente di nuovo sotto il sole. Lo storico americano Robert Darnton ha ricostruito la complessità di questi canali informali attraverso i quali, nel XVIII secolo, la comunicazione viaggiava. In realtà, da sempre resoconti indiretti, voci, rapporti basati sui “sentito dire” e pettegolezzi sono stati un elemento fondante della diplomazia e delle relazioni internazionali. Da questo punto di vista, Wikileaks non regala nulla di nuovo. La sua forza travolgente ed il rischio che rappresenta per il sistema diplomatico internazionale e per la tenuta di molti governi è data da altro. Sfruttando la strutture di internet, Wikileaks si configura come una rete sociale capace di generare flussi comunicativi costanti e organizzare l’informazione per nodi interconnessi. Le strutture reticolari organizzano la società da sempre e non sono una prerogativa della moderna società digitale del XXI secolo; esse esistono da molto prima di internet, di Facebook e di Twitter. La novità è che internet consente una velocità di diffusione delle notizie mai raggiunta e un accesso pressoché totale da parte di tutti, ai dati informativi. E’ questo duplice elemento che rischia di mettere in crisi le organizzazioni di tipo verticale e gerarchico sui cui si fondano le stesse democrazie moderne e gli stati nazionali.
Heather Brooks, sul Guardian, uno dei giornali progressisti che ha sposato la causa di Wikileaks, inneggiando in maniera un po’ delirante al suo ruolo guerrigliero di trasparenza e democrazia ha esaltato la possibilità finalmente data alla gente di sfidare il potere, attraverso il passaggio dalla “surveillance”, (il controllo dall’alto), alla “sousveillance” (il controllo dal basso). Il gioco di parole in francese denota la verve intellettualistica di questo approccio. In una democrazia, chi governa è delegato dai cittadini a farlo e il controllo avviene attraverso gli strumenti costituzionali previsti. La segretezza, soprattutto nelle relazioni internazionali, è la base della difesa di quegli interessi nazionali che un governo democratico è chiamato a tutelare. Lo ha capito pure Obama che ha messo in soffitta la retorica della democrazia elettronica e partecipativa della rete.
Il paradosso è che i furbi cantori dell’utopia libertaria di Wikileaks reclamano trasparenza per tutti tranne che per se stessi. Secondo loro un governo nazionale può mettere a rischio la propria sicurezza vedendosi pubblicate informazioni riservate mentre Wikileaks può mantenere nascosti i propri finanziatori sempre più occulti e i propri componenti in nome di quella stessa sicurezza che nega agli Stati.
Ogni comunicazione non è mai neutrale. Essa ha in sé anche un aspetto di prevaricazione che genera conflittualità. Questo spiega perché la moderna società dell’informazione, dove i flussi comunicativi sono pressoché infiniti, non è molto più pacifica delle società passate. Anzi. La comunicazione introduce un elemento di soggettività competitiva pericolosa. Proprio Darnton ci ricorda che “le notizie non sono cose accadute, ma sono solo i racconti su cose accadute”. La differenza non è di poco conto.
Heather Brooks, sul Guardian, uno dei giornali progressisti che ha sposato la causa di Wikileaks, inneggiando in maniera un po’ delirante al suo ruolo guerrigliero di trasparenza e democrazia ha esaltato la possibilità finalmente data alla gente di sfidare il potere, attraverso il passaggio dalla “surveillance”, (il controllo dall’alto), alla “sousveillance” (il controllo dal basso). Il gioco di parole in francese denota la verve intellettualistica di questo approccio. In una democrazia, chi governa è delegato dai cittadini a farlo e il controllo avviene attraverso gli strumenti costituzionali previsti. La segretezza, soprattutto nelle relazioni internazionali, è la base della difesa di quegli interessi nazionali che un governo democratico è chiamato a tutelare. Lo ha capito pure Obama che ha messo in soffitta la retorica della democrazia elettronica e partecipativa della rete.
Il paradosso è che i furbi cantori dell’utopia libertaria di Wikileaks reclamano trasparenza per tutti tranne che per se stessi. Secondo loro un governo nazionale può mettere a rischio la propria sicurezza vedendosi pubblicate informazioni riservate mentre Wikileaks può mantenere nascosti i propri finanziatori sempre più occulti e i propri componenti in nome di quella stessa sicurezza che nega agli Stati.
Ogni comunicazione non è mai neutrale. Essa ha in sé anche un aspetto di prevaricazione che genera conflittualità. Questo spiega perché la moderna società dell’informazione, dove i flussi comunicativi sono pressoché infiniti, non è molto più pacifica delle società passate. Anzi. La comunicazione introduce un elemento di soggettività competitiva pericolosa. Proprio Darnton ci ricorda che “le notizie non sono cose accadute, ma sono solo i racconti su cose accadute”. La differenza non è di poco conto.
© Il Tempo, 4 Dicembre 2010
7 Comments:
bello bellissimo ma anoi interessa cosa fa Fini l'Assange de noantri, mutatis mutandi,e la tua lucidità ci può essere d'aiuto e/o conforto
È errato affermare che “i furbi cantori dell’utopia libertaria di Wikileaks reclamano trasparenza per tutti tranne che per se stessi”. La trasparenza richiesta da chi in qualche modo apprezza almeno alcune delle ‘gesta’ di Wikileaks è una trasparenza di atti e decisioni di chi maneggia il potere e quindi è chiamato a responsabilità e coerenza. Non basta essere stati eletti democraticamente per avere diritti di segretezza. Il voto lo si ottiene promettendo, e l’incongruenza tra ciò che si promette e ciò che si fa è qualcosa di cui gli elettori devono essere informati. In altre parole: poco importa chi finanzia Wikileaks, più importante è sapere chi finanzia il parlamento americano e quanto questi finanziamenti hanno a che fare con la decisione di intraprendere una guerra che coinvolgerà centinaia di migliaia di vite. La segretezza può essere utile se difende gli interessi nazionali (e magari anche quelli internazionali), ma terribilmente nociva se protegge interessi personali in conflitto con i primi.
Ruggero
L'autorità si fonda su consenso e privacy. Il consenso è necessario per un leader politico (o un'amministrazione) all'interno di un sistema democratico per poter continuare a governare una nazione. Si ottiene attraverso una comunicazione corretta e trasparente verso i cittadini/elettori.
Ma affinchè le politiche poste in essere possano essere efficaci e il leader rimanga autorevole è indispensabile che esista un'asimmetria infomrativa tra chi detiene ed esercita (legittimamente) un potere e i suoi rappresentati. Questo articolo si inserisce perfettamente entro la cornice definitoria del concetto di autorità: l'amministrazione Obama perdendo il controllo su una serie di informazioni sensibili ha inevitabilmente danneggiato la sua immagine e quella del suo paese, generando una scossa violenta alle fondamenta stesse della nazione e dei relativi equilibri che aveva costruito a livello internazionale.
Di contro Assange non ha alcun riconoscimento dal basso (democratico) per impostare una comunicazione asimmetrica e fonda la sua esplicitamente dichiarati, giocando propio sull'occultamento di sapere.
Martin, stiamo aspettando un tuo articolo sugli ultimi eventi politici, dalla fiducia al governo al neonato terzo polo.
Non vedo l'ora di leggerti.
Saluti
Morrigan
Detto, fatto, caro Morrigan! :)
Apprezzo il suo articolo, salvo che per un particolare. La gente insiste nel rappresentare le cose come se fossero inserite in un quadro di democrazia. Ma lei è davvero sicuro di questo? Come se fosse davvero esistita una democrazia da qualche parte, e non solo oligarchie più o meno mascherate. Visto che vedo che si interessa di Storia, provi a riflettere un pò da dopo il 45 ovunque nel mondo. Ma di quale democrazie parliamo? Basti solo dire che qui non abbiamo ancora avuto il piacere di sapere nel 2011 quali sono tutte le condizioni di resa firmate nel 43 da Cavallero. Una volta uno avrebbe ragionato che se c'era l'Impero Romano, o Inglese, quelli avrebbero fatto il loro dovere e cioè i loro interessi di Impero. Una volta non erano così intronati di TV forse.
Caro amico, problema è complesso. La menzogna in politica è cosa che Hanna Arendt individuò cona grande acutezza. Ma se oggi la politica si muove sopratutto dentro lo spazio dell'apparire mediatico, ecco che la menzogna si trasferisce proprio dentro quella che noi chiamiamo comunicazione e informazione. e il problema non è risolvibile, ma solo arginabile
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